domenica 6 novembre 2011

La distanza

Una delle conclusioni alle quali si arriva, parlando della crisi economica attuale, siano esse discussioni in famiglia, al bar, nei social network, nelle manifestazioni di piazza, è l'inaccettabile risoluzione dei nostri problemi demandata a istituzioni (BCE, FMI, Banca Mondiale, istituzioni di controllo dei mercati, ecc.) che si sono arrogati un Potere senza che questo sia stato delegato da tutti noi.
A mio avviso tutto ciò nasconde un percorso più tortuoso e sfuggente ma che credo sia indispensabile mettere in evidenza.
Partiamo da molto lontano.
Eraclito (535 a.C. - 475 a.C.) scrisse in uno dei suoi enigmatici frammenti "Polemos è padre di tutte le cose, di tutte re".
Polemos si traduce con guerra, conflitto ma, per sfumare le immagini brutali che ci assalgono al solo sentir pronunciare questi termini, preferisco, in questa sede, tradurlo con opposizione.
Inevitabilmente il nostro esistere, per manifestarsi, deve opporsi all'Altro. Solo attraverso questa opposizione noi siamo e tale opposizione può esistere solo attraverso una distanza.
E' in questa distanza, non solo intesa come spaziale ma psicologica, simbolica, che si vengono a determinare le nostre relazioni e dalle quali scaturisce non solo un Noi ma si forma e determina un Io.
E' in una dialogica* fra coinvolgimento e distacco (N. Elias) che si viene a formare quella che possiamo definire società, qui intesa come l'insieme delle interrelazioni fra tutti noi che col tempo si formalizzano e permettono il nascere delle istituzioni.
Quindi non si tratta di un'unica distanza ma di una molteplicità di distanze che si tramutano in un legame sociale complesso.
Simmel notava che noi non siamo legati all'altro da un solo filo e la molteplicità dei fili non è altro che un insieme di distanze relative che produce e riproduce il legame sociale.
"Lo spazio non è un contenitore. Viene continuamente creato dall'uomo nelle sue funzioni e nei suoi significati. (...) L'ideologia tardo-moderna ha voluto risolvere il problema degli spazi così come ha risolto il problema del tempo: oggettivandone il significato e facendone uno strumento di razionalizzazione e di ordine dell'attività collettiva. (...) L'altro perciò è visto come mediatore, come strumento, come funzione dei nostri bisogni. (...) Lo vogliamo inserito perfettamente nella nostra rappresentazione oggettiva di prestazioni e controprestazioni in funzione dei nostri fini. La sua umanità scompare in funzione della sua utilità strumentale. (...) Così si è indebolita quella fiducia orientata direttamente sull'altro, dalla quale si componevano spazi e distanze, per il fatto che la cultura moderna ha orientato questa fiducia, anzichè sugli individui, sui meccanismi astratti delle sue istituzioni" [1] (Mongardini)
E' questo, a mio parere, un punto cruciale del grande disagio dell'epoca tardo-moderna o, come preferisco definirla io, postmoderna.
Le grandi istituzioni finanziarie ed economiche mondiali rappresentano il punto più alto di questa razionalizzazione e oggettivazione alla quale siamo giunti in questi nostri tempi.
Sono divenuti veri e propri non-luoghi (M. Augè).
Ciò determina che, accanto al problema molto sentito della rappresentatività, si aggiunge un problema profondo di distanza e spazialità andata oltre i confini immaginabili e controllabili da noi uomini.
Anche per questo motivo alla globalizzazione imperante si contrappone un nuovo localismo ancora acerbo e in divenire che, sappiamo bene, può essere fucina, in negativo, di nazionalismi e razzismo.
Non lasciamoci, però, trarre in inganno dalla distanza materiale che divide noi tutti dalle istituzioni e sforziamoci di interpretarla, anche e soprattutto, come distanza simbolica, psicologica, sociale.
Quello che accade nelle istituzioni, ormai, ci appare totalmente slegato da ciò che noi viviamo quotidianamente.
L'eccesso di razionalizzazione e ordine perseguito dall'uomo moderno ha finito per creare spazi svuotati di senso, dove vige una funzione spesso demandata ad esperti.
Seguendo la splendida metafora dei fili di Simmel, mi spingo a dire che è come se questi fili avessero perso totalmente elasticità o, se preferite, fossero arrivati ad una tensione estrema che fa perdere all'insieme, che possiamo definire società, una indispensabile plasticità.
Al posto della famosa gabbia di acciaio (M. Weber) siamo imprigionati in una ragnatela di acciaio.

Inoltrandoci sempre nella metafora simmeliana possiamo scorgere, lungo i fili, due effetti particolari.
Dal loro intersecarsi si vengono a formare nodosità che possiamo definire le istituzioni che, per loro stessa natura, sono difficili da sciogliere determinando un problema, soprattutto, quando hanno terminato di assolvere la loro funzione sia pratica che simbolica.
Per tale motivo, da punti di incrocio e attrazione, divengono una sorta di prigione che annulla la dialogica fra istituente e istituito determinando una stasi del sistema e un'incapacità di auto-perpetrarsi e auto-modificarsi.
Inoltre, la sclerotizzazione dei fili di cui abbiamo detto prima, determina una predominanza in essi di funzioni sempre più impersonali e meccaniche che hanno come effetto una deresponsabilizzazione delle nostre azioni finendo per decretare, seguendo il pensiero di Mongardini, la scomparsa di quelle caratteristiche intrinsecamente umane a scapito di una utilità strumentale, meccanica e oggettiva.
Pensiamo ad un esempio attualissimo.
Ogni volta che un intermediario finanziario batte con le sue dita sulla tastiera sposta miliardi di dollari da un capo all'altro del mondo in un nano secondo con grandissime conseguenze sulle economie dei paesi mondiali.
Sforzandoci di non vederlo come un moderno Dracula, lui non fa altro che assolvere ad una sua funzione, ad uno scopo ben preciso, ad un obiettivo da raggiungere a lui richiesto.
Nel cliccare sulla tastiera lui non vuole scatenare guerre mondiali o rivoluzioni ma fare "il suo dovere" eppure sappiamo bene che l'effetto è ben diverso.
Ma se viene messo alla sbarra come imputato lui non sentirà la responsabilità personale della situazione economica e finanziaria attuale.
Lui si sentirà semplicemente un anello di una catena al quale era demandato un determinato e circoscritto compito e null'altro.
Siamo in presenza di una sorta di effetto Eichmann che affermava, quando parlava dei massacri di Auschwitz, semplicemente: "Obbedivo agli ordini".
Si badi bene che l'esempio del broker dobbiamo, con onesta, riportarlo nella quotidianità degli atti della nostra vita quando ogni nostro assolvere ad una funzione determina, inevitabilmente, conseguenze che siamo impossibilitati a determinare con precisione a priori e delle quali non sentiamo una responsabilità diretta.
Lo psicologo statunitense Stanley Milgram, a conclusione di esperimenti atti a determinare il comportamento individuale in un sistema autoritario e gerarchico, afferma che "persone normali, prive di qualsiasi ostilità, possono, semplicemente assolvendo ai loro compiti, diventare agenti di un atroce processo di distruzione."  [2]
Paradossalmente però è proprio nelle nostre società odierne, formalmente e sostanzialmente lontane dai sistemi autoritari e gerarchici, basate sulla libertà dei singoli e sulla possibile partecipazione di tutti alla gestione del Potere, che si è venuto a creare un'opprimente sensazione di claustrofobia.
Abdicando ad una ragione astratta, che ha surclassato una ragione sensibile, per tentare di controllare un immenso sviluppo di tecniche e scienze che ci hanno garantito un benessere diffuso, abbiamo finito per rinchiuderci in un mondo sempre più oggettivato.
Siamo in grado di misurare e calcolare al millionesino di millimetro distanze spaziali ma, contemporaneamente, abbiamo affievolito, fino a quasi annullarle, quelle capacità pre-razionali che permettevano di creare e scambiare, all'interno o attraverso queste distanze, significati, simboli, segni, immagini che sono l'essenza di ogni relazione umana, un bisogno puro dell'Altro senza mediazioni.
"L'oggettività della vita collettiva ha però in parte espropriato l'individuo, nel senso che i suoi spazi di autonomia sono sempre più limitati, i tempi sociali hanno compresso i tempi individuali, la ragione calcolante del denaro ha emarginato tanti aspetti della vita umana come l'onore, la benevolenza, la carità.(...) Nelle grandi società si rompe così l'equilibrio fra l'Io e il Noi. (...) Così di fronte a un Noi astratto e lontano, fondato sull'iperrazionalismo di tempo, spazio e denaro, la vita individuale oscilla in una specie di anarchia tra l'egoismo dell'attore economico, il feticismo delle merci e i fenomeni di massa, deboli fantasmi di vecchie forme di aggregazione sociale" [1] (Mongardini)
Il problema, attualissimo,  della rappresentanza, della partecipazione, visto da questa visuale, risulta essere solo la punta dell'iceberg di un problema complesso tipico dello sviluppo delle nostre società occidentali al quale dovremo tutti noi dedicarci oggi e negli anni avvenire.



* per il significato del termine vedere voce nel "piccolo vocabolario"
[1] Elementi di sociologia - Temi e idee per il XXI secolo - Carlo Mongardini - Ed. McGraw-Hill
[2] Il Metodo 6 Etica - Edgar Morin - Raffaello Cortina Editore

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