lunedì 15 agosto 2011

L'esperto e le chiacchiere da bar

Ho terminato di leggere da poco l'articolo, pubblicato sull'Espresso di questa settimana, del prof. De Nicola Alessandro intitolato "un Tea Party per l'Italia".
L'articolo mi ha suscitato immediatamente alcune considerazioni e riflessioni che voglio condividere sul blog con voi.
La prima considerazione riguarda prettamente l'argomento dell'editoriale.
Il prof. analizza, naturalmente in maniera sintetica visto lo spazio a disposizione, la situazione economica attuale e gli interventi che sono costretti a fare i vari governi facendo un accostamento fra la situazione americana, con l'accordo raggiunto in extremis fra Obama e i repubblicani sull'innalzamento del debito pubblico, e quella nostrana mettendo in evidenza l'ivevitabile ma, da lui auspicabile, ridimensionamento dello Stato, delle sue spese e del suo interventismo economico concludendo che per la situazione italiana sarebbe desiderabile la nascita di un Tea Party all'americana.
Scrive il prof. "Non si rende conto (l'opposizione) che oggi il problema è proprio trattenere dalla fuga all'estero e incentivare quella classe dirigente innovativa e produttiva che è il segreto dello sviluppo di qualsiasi paese. La litania sull'evasione ha stancato...ecco perchè se anche in Italia ci fosse un movimento che, come un Tea Party, rappresentasse con vigore i nostrani tartassati, non sarebbe un gran male".
Ci sono alcune cose che mi piacerebbe dibattere con il prof. De Nicola. La prima è semplicemente che io ritengo estremamente semplicistici e  riduttivi i paragoni, che spessissimo si sprecano, fra gli USA e l'Italia. Seppure siamo accomunati dall'apparteneza a quello che è stato definito "l'occidente" nella loro radice culturale l'Italia e l'Europa sono molto differenti dagli USA.
E' strano come si chieda sempre più mercato, sempre più iniziativa privata, liberalizzazioni, in poche parole più "liberismo" economico come se fossimo stati retti in questi ultimi decenni da un altro paradigma. (negli USA non vige un liberismo nettamente più accentuato del nostro?)
So bene che per i liberisti "puri" quello che è stato fatto sinora non ha niente a che fare con il loro pensiero e il loro credo ma la difficoltà consiste proprio in quella "purezza" inestiste nella realtà.
Il nostro mondo quotidiano è fatto da commistioni e contaminazioni, niente di puro appartiene alla sfera umana.
Lungi da me aprire una polemica o esprimere un giudizio di valore sul prof., quello che mi fa riflettere, prescindendo dal tema dell'articolo e dalle mie considerazioni su esso, è la figura dell'"esperto", ormai onnipresente nel nostro quotidiano.
Da decenni sembra che per avere un pensiero e farsi un'opinione ognuno di noi ha necessariamente bisogno dell'aiuto e dell'intervento di un "esperto" sia esso un professore, un medico, un giornalista, un politico, uno scienziato.
Da soli non siamo proprio capaci!!!!(o almeno così si pensa)
Praticamente, visti le innumerevoli discipline nelle quali si è suddiviso e frammentato il sapere, paraddosalmente sembra impossibile che da soli possiamo fare delle scelte senza l'aiuto, l'analisi, il suggerimento dell'"esperto".
La proliferazione e la continua divisione dei saperi poi, in definitiva, permette anche un assenza totale di responsabilità.
L'"esperto" che avrà studiato e approfondito un determinato campo, pur innondanto il nostro quotidiano di suggerimenti e analisi, non sentirà alcuna responsabilità personale per le parole rponunciate o scritte visto l'estrema "complessità" del mondo.
Eppure continuiamo a vivere il nostro quotidiano, a esprimere idee, opinioni, a fare scelte.
Allora, ritengo, che la situazione sia proprio da ribaltare.
Per questo motivo ho dato questo titolo al post.
Questo non deriva da un triviale spirito di rivalsa ma dall'esperienza personale che un'attenzione maggiore ai pensieri e alle parole del cosiddetto "uomo comune" possano aiutare ad una riscoperta di un" buon senso" di elevato valore.
La vera sfida dell'oggi, che investe prepotentemente tutti coloro che con sincerità voglio tentare di comprendere la nostra epoca, è proprio quella di portare le "chiacchiere da bar" nelle università, nelle scuole, nei parlamenti e far dialogare il "sapiente" con "l'uomo comune", di liberare energie in una dialogica che, inevitabilmente, potrebbe permettere ad entrambi di trovare una dimensione più autentica e più vicina alla realtà quotidiana.
Chiudo con un ultima considerazione che mi ha ispirato sempre l'articolo.
Il prof. De Nicola è presidente dell'associazione Adam Smith Society questo mi ha portato alla mente un articolo di qualche tempo fà, sempre sull'Espresso, di Giorgio Ruffolo e il libro di Sennett L'uomo fessibile.
Mi sono ricordato di entrambi perchè i due professori, nei loro scritti, mettono in evidenza un Adam Smith che spesso viene dimenticato, quello della Teoria dei sentimenti morali nel quale aveva sostenuto l'importanza della "simpatia reciproca" e della capacità di identificarsi con i bisogni degli altri.
La stessa divisione del lavoro e la routine indeboliscono le manifestazioni spontanee e l'espansione della simpatia.
La visione di Adam Smith, padre del libero mercato e assurto, a sua insaputa,  a fondatore del moderno capitalismo, è quindi molto più complessa della semplice "mano invisibile" che sempre ci viene ricordata.
Inevitabilmente ritorna quella "complessità", di cui avevo scritto prima, che nessun "esperto" potrà da solo mai districare.

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