giovedì 8 dicembre 2011

Il Mercato illogico

















Ricordo, che quando ero bambino, andavo spesso con mia madre al mercato.
A Castellammare di Stabia, dove sono nato, c'erano due mercati, uno ortofrutticolo e l'altro invece che si era creato in diversi vicoli stretti di una zona della città dove c'erano negozietti e bancarelle che vendevano abbigliamento, prodotti per la casa, tessuti e tante altre cose.
Di entrambi ricordo gli odori, i colori, i suoni, le persone. In quegli spazi c'erano emozioni, sensazioni, amicizie, antipatie, furbizie, altruismo, soldi, contrattazioni (estenuanti per risparmiare qualche lira), in poche parole c'era prepotentemente l'essere umano.
L'uso attuale della parola mercato, nonostante fortunatamente continua ad esistere in ogni città come luogo fisico, ci rimanda ad un'astrazione, un non-luogo, dove vigono regole e leggi che non solo influenzano i prezzi dei prodotti ma sono riuscite a controllare la totalità della vita umana decidendo, in ultima istanza, dell'esistenza di persone, gruppi, Stati.
La fiabesca teoria economica da secoli alimenta un Mito, un sogno di logica e ragione che avrebbe finalmente liberato l'uomo da tutte quelle fastidiose pulsioni  per permettergli di scambiare i prodotti del suo sudore e del suo ingegno massimizzando gli utili e minimizzando i costi.
Il mercato sarebbe quel non-luogo dove tutto acquista un suo proprio equilibrio.
Purtroppo, e non soltanto per l'immane crisi attuale, sappiamo bene, provandolo quotidianamente sulla nostra pelle, che tutto questo non è assolutamente vero.
Non si offendano gli economisti e tutti i fautori di un liberismo estremo ma il mercato non ha altro che un effetto di amplificazioni.
Nei momenti di crisi la amplifica così come amplifica il benessere nei momenti di fiducia in una visione positiva dell'uomo, della società, del mondo.
C'era molto più equilibrio e consapevolezza nel mercatino di quando io ero piccolo dove sia il compratore sia il venditore andavano a casa veramente soddisfatti e dove la contrattazione tutto era fuorchè semplice calcolo ma scambio simbolico, immaginale, emozionale, valoriale.
Quando sentiamo in noi stessi e negli altri una reazione di sbigottimento o di rabbia alle parole "è il mercato che lo vuole" o "il mercato ha deciso così" non cadiamo nella trappola di definirci ignoranti, stupidi o incompetenti perchè c'è un motivo molto profondo a queste reazioni.
Per tentare di comprendere come siamo arrivati a questo punto e per cercare di capire il senso che abbiamo dato a comportamenti che ci stanno portando sull'orlo di un baratro possiamo farci aiutare dalla teoria delle azioni non-logiche di Pareto senza però disdegnare di accennare anche alla sua biografia che ci permette di evidenziare alcuni paradossi che caratterizzano il nostro esistere quotidiano.

Vilfredo Pareto nasce nel 1848 a Parigi da padre italiano e si laurea in ingegneria civile al Politecnico di Torino. Fu direttore della Compagnia delle Ferrovie di Roma e successivamente di una società di prodotti in ferro a Firenze.
Nel 1889 lascia la sua attività di dirigente e si trasferisce in una casa nella campagna fiorentina dove si dedica allo studio e ad un'intensa attività giornalistica a favore del libero mercato.
Conosce, in seguito, Maffeo Pantaleoni, noto economista, e inizia gli studi di economia che lo porteranno a ricoprire la cattedra di Walras a Losanna.
Il suo contributo alla scienza economica è ancora attuale visto che le sue teorie sul modello di sistema in equilibrio sono tuttora incluse in qualsiasi manuale di economia.
L'interesse per la sociologia nasce da un'amara constatazione, per un positivista come lui, cioè dal fatto che l'agire umano è per la maggior parte non-logico.
Per Pareto le azioni logiche sono quelle nelle quali i mezzi sono perfettamente commisurati ai fini uniti logicamente gli uni agli altri.
Questo tipo di azioni, però, constata Pareto, sono molto rare e si spinge addirittura a dire che le azioni logiche sarebbero solo l'8% delle azioni umane.
Se questa percentuale ci può sembrare un azzardo si badi bene che agli stessi risultati sono giunte recenti ricerche di marketing sulla comunicazione logica.
Quindi noi, nel 92% dei casi, non faremmo altro che manifestarci in azioni non-logiche.
Ma come le descrive Pareto questo tipo di azioni?
Preliminarmente faccio notare che, come mette in evidenza il prof. D'Andrea [1], la definizione in negativo è già di per sè gerarchizzante, mostrando, anche inconsciamente, il disappunto dell'autore per la natura di tale tipo di azione.
L'azione non-logica sarebbe un'azione nella quale non c'è coincidenza tra il fine soggettivo e fine oggettivamente realizzato.
Particolare, però,  che mette in luce Pareto, non è il semplice disallineamento fra mezzi e fini, ma il fatto che "le azioni non-logiche tendono a imporre artifici logici per giustificare se stesse e, a loro volta, tali artifici rafforzano le azioni non logiche" .[2]
Una caratteristica fondamentale di questo tipo di azioni sarebbero ciò che Pareto definisce residui.
Anche qui, sempre imbeccati dal prof. D'Andrea, soffermiamoci sul termine da lui utilizzato.
Sembra quasi paradossale che Pareto per definire queste caratteristiche dell'agire non-logico, che rappresenterebbero il 92% delle azioni umane, usi il termine residuo che normalmente ci fa pensare ad una resta o uno scarto, di quantità esigua, di un determinato processo.
residui sarebbero quelle uniformità dell'agire non-logico che sono riconducibili a istinti ricoperti di ragionamento.
"I residui possono quindi essere considerati come modi di fare consolidati culturalmente nel tempo, anche se radicati, in ultima analisi, in una base istintuale naturale" [2] che si rivelano ricoperti da una "vernice di razionalizzazioni solo apparenti". [2]
Queste razionalizzazioni o tendenza a rivestire di apparenze logiche le azioni non-logiche  vengono indicate da Pareto come derivazioni che, volgarizzando, possiamo intendere anche come una strategia a posteriori di dare un senso razionale all'agire umano.
Facciamo un esempio per meglio chiarirci la differenza fra residui e derivazioni.
In tutte le culture l'omicidio è punito e proibito ma le motivazioni variano in base a motivi religiosi, giuridici, ecc.
La punizione e la proibizione dell'omicidio quindi è la costante (il residuo) le spiegazioni sono le variabili (le derivazioni) che ammantiamo di una vernice di razionalità.
A questo punto, smascherato il processo dell'agire umano, ci aspetteremmo che Pareto si dedicasse ad un attento studio delle derivazioni ma, invece, egli insiste sui residui spinto, come aveva fatto negli studi di economia, dalla ricerca di un equilibrio del sistema sociale.
Quindi abbandona le derivazioni, definite come "un ammasso di sciocchezze", senza cogliere che queste manifestazioni sono fattori costitutivi dell'esperienza psicologica e culturale che inevitabilmente influiscono sulle dinamiche delle relazioni sociali.
La splendida teoria delle azioni non-logiche e le contraddizioni della vita e del pensiero di Pareto mettonono, a mio parere, ben in evidenza i mali che attualmente ci attanagliano.
La scienza economica viene a presentarsi o è percepita (qui il confine è labile) come capace di indirizzare l'uomo verso un universo di comportamento logico e razionale che permette ad esso di soddisfare i suoi bisogni limitando al massimo il costo pagato per la loro realizzazione.
Come abbiamo visto nella teoria paretiana, ciò è quantomeno fuorviante essendo, la quasi totalità del nostro agire, animato da un oltre non riducibile al calcolo e alla ragione.
E' come se ci fosse una discrepanza di tempi fra l'azione e il senso che noi le diamo. Le razionalizzazioni, inevitabilmente, sono a posteriori, un'esigenza di ordine che ci spinge a determinare una logica o una ragione al nostro agire mosso, invece, da un universo di pulsioni e spinte di per sè non appartenenti all'universo della ragione stessa.
Ma, a questo punto, si innesca un movimento analogo ma contrario. La sedimentazione in comportamenti, credenze, stili di vita di quelle stesse razionalizzazioni vengono a divenire degli a priori per il nostro futuro agire.
Ci sembra quindi esistere una logica ferrea, un calcolo preciso, dove invece c'è un movimento sotterraneo magmatico di pulsioni e istinti naturali ricoperti da una vernice di ragione.
Ma quando, come nella nostra epoca, questa stessa vernice diventa sempre più astratta e teorica, il rischio che l'essere umano venga scambiato per una cosa o un oggetto è sempre più pericoloso.
Per tale motivo il mercato da luogo fisico, di incontro, di scambio, è divenuto un non-luogo dove l'essere umano è divenuto un numero, una percentuale statistica.
Mia madre e il venditore di stoffe erano due persone che si incontravano, che contrattavano, che potevano anche starsi simpatici a vicenda o non sopportarsi per niente, ma mai l'uno avrebbe distrutto l'altro come ci ha dimostrato di poter  fare questo sogno economicista di un mercato logico e riparatore di tutte le deficienze umane.


[1] Lezione on-line di Sociologia generale del 27/10/10 - prof. Fabio D'Andrea - http://www.sociologica.it/
[2] La sociologia - Contesti storici e modelli culturali - Rauty/Jedlowski/Crespi - Ed. Laterza

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