domenica 12 febbraio 2012

I "perchè" dei bambini

Ascoltando la lezione di Sociologia del prof. D'Andrea sulla Cultura [1], nel parlare di cultura-ambiente quale cultura nella quale nasciamo e in particolare nella quale avvengono i processi di socializzazione primaria, mi è venuta alla mente la tipica scena di quando un bambino ti chiede il perchè di un gesto, di una parola, di un comportamento, di un pensiero.
Noi esseri umani siamo immersi in un "universo culturale che produciamo e riproduciamo continuamente" (A. Touraine).
"Siamo esseri culturali dotati della capacità e della volontà di assumere consapevolmente posizione nei confronti del mondo e di attribuirgli un senso" (M. Weber)
Ma la "consapevolezza", di cui parla Weber, si trasfigura drasticamente nel nostro vivere quotidiano e ci ritroviamo in un "ovvio", un "senso comune" che ci avvolge rendendo quasi nulla la parte creativa lasciandoci, soprattutto nella situazione attuale, un senso di condizionamento e di normativo che ci opprime.
D'altronde è complicato renderci conto della "fase creativa" essendo tutto immerso un un circolo dove spinte conservative e innovative si susseguono e si condizionano vicendevolmente in un flusso difficilmente percepibile.
Quella che possiamo definire "cultura oggettiva" assume un "tono di naturalità" (P. Jedlowski) difficilmente scardinabile.
Eppure un momento nel quale, con estrena naturalezza, veniamo spinti in una specie di fortunosa sospensione di questo flusso è proprio quando un bambino ti chiede il "perchè" delle cose.
Quell'ingenua domanda, su cose per noi ovvie e scontate, ci pone in una situazione di imbarazzo dove possiamo scorgere, con stupore, la natura prettamente umana,quindi relativa e mutevole, dei sensi e dei significati di oggetti, atti, parole, regole e valori.
E' inutile nasconderlo, ci sono occasioni nelle quali la situazione può divenire snervante e cerchiamo di chiuderla nel minor tempo possibile in mille modi diversi.
In fondo quel "perchè", a volte ripetuto più volte come una filastrocca, non cerca semplicemente di capire alcune cose ma è come se stesse a rappresentare uno scarto fra un mondo in potenza, rappresentato dal bambino, e il mondo-frammenti dell'adulto.
Quel "perchè" rappresenta una porta che il bambino varca, spinto dalla curiosità, dal bisogno di imitare, per "assumere consapevolmente posizione nei confronti del mondo e attribuirgli un senso".
Ma quella stessa porta non viene mai chiusa definitivamente e quindi anche in età adulta, in rari casi, possiamo ritrovarci a varcarla in un movimento a spirale che ci riporta, per un breve istante, in quel mondo in potenza perpetuamente presente anche se difficilmente percepibile nel nostro esistere quotidiano.
Qui vengono a decadere la logica, la razionalità, il principio di causa-effetto, la non contraddizione.
D'altronde, se guardiamo bene gli occhi del bimbo quando accetta una nostra risposta, in essi non vediamo semplicemente un convincimento logico, razionale, ma quasi, mi spingo a dire, un atto di "fede", profondo e semplice allo stesso tempo, nell'altro.
Una "fede", una "fiducia" che permea, come un collante, tutti noi anche in momenti come quello attuale dove tutto sembrerebbe evidenziare solo una conflittualità perpetua e autodistruttiva.
Voglio terminare questo post proponendovi un brevissimo racconto, scritto anni addietro, che intitolai Samuele.
"Quando all'età di quattro anni riprodussi, con i miei bei pastelli, la "Notte stellata" di Van Gogh, i miei genitori rimasero colpiti ed esterefatti.
Mio padre portò quel disegno in ufficio e andò a lavoro, non so per quanto tempo, solo per mostrare a clienti e colleghi l'opera d'arte del suo piccolo Samuele.
I miei pensarono che sarei diventato un'artista, un grand pittore.
Per loro sicuramente in me covava il genio dell'arte e per giorni e mesi mi spiarono ogni volta che con i miei pastelli scarabbochiavo sui fogli.
Rimasero, però, molto delusi dal vedere le mie belle casette dal tetto squadrato, le belle nuvolette, il bel sole con i suoi grandi raggi gialli, i tanti animaletti buffi e i bei fiori.
La mia "Notte stellata" non lasciò mai l'ufficio di mio padre che smise, però, di fare da cicerone nella sua personale galleria d'arte dove in pianta stabile veniva esposta l'unica ed incommensurabile opera del figlio.
Forse tenne con se quel disegno non solo per affetto ma anche perchè gli ricordava la possibilità di un sogno purtroppo svanito.
Ricordando quell'episodio ho sempre pensato che l'animo di un bambino è la cosa più vicina alla Bellezza ed è così pura da saper leggere le emozioni e le sensazioni senza doverle filtrare attraverso gli accadimenti della vita che finiscono per rimpicciolire e ridimensionare l'immensità dell'essere umano.
L'essere artista non è altro che un'immane lotta per ritornare, a volte solo per un attimo, a quello stato primordiale dove tutte le cose hanno un proprio "essere".
Sono sicuro che a quattro anni presi i miei pastelli e riprodussi la "Notte stellata" solo perchè era bello, solo perchè provai il primordiale istinto dell'emozione e della sensazione di Bellezza.
Non ero io un grande artista o diverso dagli altri bambini, ma il pittore ad essere diventato, per un istante eterno, un bambino come me."


[1] Lezione di Sociologia Generale del 22/11/2011 - http://www.sociologica.it/