mercoledì 28 novembre 2012

Dire no...dire sì

Leggendo il libro "Antropologia filosofica" della professoressa Pansera mi è tornato alla mente il post "Mezzo pieno...mezzo vuoto" pubblicato il 12/12/2011 al quale si potrebbe tentare di dare un nuovo tono e una nuova coloritura.
L'antropologia filosofica moderna nasce, come disciplina, nella prima metà del XX secolo e prende le mosse dall'esigenza di cogliere e pensare l'essere umano nella sua interezza cercando di creare un ponte fra filosofia e scienza che consenta di riallacciare un dialogo che, allora come adesso, sembra difficoltoso se non addirittura impossibile.
Questa esigenza è fortemente sentita perchè, come scrive Max Scheller, padre fondatore di tale disciplina insieme a Helmuth Plessner e Arnold Gehlen, "noi siamo la prima epoca in cui l'uomo è divenuto completamente e interamente problematico per se stesso; in cui egli non sa più che cosa è, ma nello stesso tempo sa anche che non lo sa". [1]
L'aspetto peculiare dell'uomo, nel pensiero di Scheller, è la possibilità di "dire no", di trascendere la realtà data.
Scrive infatti: "paragonato all'animale che dice sempre sì alla realtà effettiva, anche quando l'abborrisce e fugge, l'uomo è colui che sa dir di no, l'asceta della vita, l'eterno protestante contro quanto è solo realtà (...) l'uomo è l'eterno Faust, la bestia cupidissima rerun novarum, mai paga della realtà circostante, sempre avida di infrangere i limiti del suo essere ora-qui-così, sempre desiderosa di trascendere la realtà circostante" [1]
Partendo da questa capacità di "dire di no", dalla capacità di negare e superare le costrizioni biologiche, Plessner distingue l'uomo dagli altri esseri per la sua posizione "eccentrica".
Mentre l'animale vive al "centro" del proprio ambiente naturale l'uomo, attraverso l'autoriflessione e l'autocoscienza, è in grado di trascendere il centro biologico e di acquisire una "posizione eccentrica".
"Per l'uomo trovarsi in una posizione eccentrica vuol dire decentrarsi (...) solo distanziandosi da sè, ponendosi - come dice Plessner - alle proprie spalle, l'uomo può vedere se stesso e la propria posizione nel mondo, quel centro provvisorio che occupa e da cui poi, in quanto essere eccentrico, si decentra." [2]
Pertanto " è tipico della natura umana non poter vivere nell'immediatezza di una natura già data, ma solo nella mediazione che trasforma la natura in cultura: l'uomo è essenzialmente un essere culturale". [2]
Per Gehlen il "dire no", "l'eccentricità" nascono dalla peculiare carenza che contraddistingue l'uomo dovuta ad una dotazione organico-istintuale primitiva incompiuta e non specializzata.
Per tale motivo, a differenza dell'animale che ha un ambiente, l'uomo ha il mondo.
La sua carenza, non permettendo un immediato adattamento all'ambiente, lo induce, attraverso l'azione, alla continua creazione di un mondo adatto alla sua esistenza.
"Egli vive , per così dire, in una natura artificialmente disintossicata, manufatta e da lui modificata in senso favorevole alla vita. Si può dire che egli è biologicamente condannato al dominio della natura." (Gehlen) [1]
La capacità di azione e di intervento sono rese possibili da quello che Gehlen definisce "principio di esonero" che si sostanzia in quel meccanismo che permette all'uomo, attraverso schemi di comportamento, di esonerarsi dagli oneri e dalle continue risposte agli stimoli ambientali e alle pulsioni interne.
Il ricco pensiero di Scheller, Plessner e Gehlen, che in questo post ho estremamente sintetizzato, ci rilascia un'immagine dell'uomo che permette, a mio parere, di definire la nostra attuale posizione eccentrica e al contempo di evidenziare l'estremo lavorio che continuamente noi tutti facciamo per costruire un mondo che permetta la nostra esistenza.
Ma, allo stesso tempo, questo pensiero, portato agli estremi fino all'essere "condannati al dominio della natura" di Gehlen, può continuare a perpetrare un antropocentrismo tipico del pensiero dell'uomo sull'uomo che finisce per mascherare quella hybris (tracotanza) e quell'incapacità di percepire e definire un limite e di rendere la nostra azione manipolatrice armoniosa all'ambiente.
Forse è per tale motivo che al "dire di no" di Scheller, istintivamente, mi è venuto di contrapporre il "dire sì" di Nietzsche.
Quel "dire sì alla vita" che si sostanzia nella ripresa dell'amor fati che Nietzsche descrive come l'atteggiamento proprio del super-uomo che accetta entusiasticamente, fino a desiderarlo, il carattere casuale e arbitrario degli eventi che compongono la vita invitando, nello Zarathustra, gli uomini a "tornare alla terra".
Naturalmente il pensiero di Nietzsche risulta estremo e a tratti incomprensibile per tutti noi abituati come siamo a vivere ricercando e creando continuamente, con il nostro agire e pensare, un ordine che ci dia sicurezza, ma, seppur estremo, ci evidenzia un tratto umano che persite in tutti noi e che spesso è surclassato da un discorso sull'uomo teso a mascherarlo e nasconderlo.
La rappresentazione "marmorea" dell'uomo occidentale del novecento si sta frantumando in mille pezzi che raccolgono altrettante istanze spesso violentate da quelle funzioni e ruoli che ci siamo autoimposti.
Forse è per tale motivo che, in questi nostri tempi di crisi, si affianca e si mescola all'homo sapiens, all'homo faber e all'homo oeconomicus nuovamente l'homo dionysiacus che uno sguardo ben attento può cogliere nell'attenzione all'ambiente, in una nuova ricerca di un piacere estetico, di un nuovo contatto con la natura, in un ritorno ad un bisogno "epidermico" dell'Altro. (tutti temi trattati da anni da Michel Maffesoli)
Queste istanze contrapposte, che non si sciolgono in una nuova sintesi, sembrano tenersi in vita l'un l'altra evidenziando una figura di un "uomo-contraddittoriale" o "homo complexus".
D'altronde la stessa eccentricità di Plessner può essere interpretata come una frattura insanabile e, permettendomi l'ardire, come una immagine nitida dell'uomo-contraddittoriale.
Infatti, per Plessner, l'uomo "vive al di qua e al di là della frattura, come psiche e come corpo e come unità neutrale psicofisica di queste due sfere. L'unità, però, non copre il doppio aspetto, non lo lascia emergere da sè, non è essa il terzo che concilia l'opposizione, che guida oltre le sfere opposte, non forma nessuna sfera autonoma. Essa è la rottura, lo iato, il vuoto passaggio della mediazione, che per il vivente stesso equivale all'assoluto doppio carattere e al doppio aspetto di corpo e psiche, nel quale esso vive." [1]
Edgar Morin, invece, attraverso il suo sterminato e straordinario lavoro di anni, ci invita a pensare la nostra irriducubile complessità.
"L'umano è un essere nel contempo pienamente biologico e pienamente culturale, che porta in sè questa unidualità originaria. E' un super e un ipervivente: ha sviluppato in modo inaudito le potenzialità della vita..
(...) Il XXI secolo dovrà abbandonare la visione unilaterale che definisce l'essere umano a partire dalla razionalità (homo sapiens), dalla tecnica (homo faber), dalle attività utilitaristiche (homo oeconomicus), dagli obblighi della vita quotidiana (homo prosaicus). L'essere umano è complesso e porta in sè in modo bipolarizzato i caratteri antagonisti:

sapiens e demens (razionale e delirante)
faber e ludens (lavoratore e giocatore)
empiricus e imaginarius (empirico e immaginario)
oeconomicus e consumans (economico e dilapidatore)
prosaicus e poeticus (prosaico e poetico) [3]

Concludendo, parafrasando Nietzsche che definiva l'uomo come "un cavo teso fra l'animale e il super-uomo", direi che l'uomo danza, a volte goffamente a volte in maniera sublime, su questo cavo teso, sospeso su quella frattura insanabile di cui parlava Plessner, ancorato ai due estremi ad un "dire no" e ad un "dire sì" o, se preferite, ad un "mezzo pieno" e un "mezzo vuoto".



[1] Estratti di Scheller, Plessner e Gehlen tratti da Antropologia filosofica - Maria Teresa Pansera - Ed. Bruno Mondadori
[2] Antropologia filosofica - Maria Teresa Pansera - Ed. Bruno Mondadori
[3] I sette saperi necessari all'educazione del futuro - Edgar Morin - Ed. Cortina Raffaello