lunedì 9 aprile 2012

La lezione dei neutrini

 E' solo un uomo quello di cui parlo
 del suo interno come del suo intorno
 di quando scivola su se stesso
 di quando scrive come adesso
 della vetta della conquista
 sotto le unghie ha la terra di quando striscia

 E' solo un uomo quello che mi commuove
 che vorrei uccidere e salvare amare e
 abbandonare
 E' solo un uomo ma lo voglio raccontare
 perchè la gioia come il dolore
 si deve conservare
 si deve trasformare
                                                  Niccolò Fabi

                        
Il famoso esperimento per la misurazione dell'oscillazione dei neutrini, che aveva portato alla straordinaria scoperta che gli stessi viaggiavano ad una velocità maggiore della luce, era sbagliato.
Un banale spinotto mal collegato aveva determinato questo errore di misurazione.
Alla fine a pagarne le spese è stato il fisico Antonio Ereditato, portavoce della collaborazione Opera, che il 30 marzo ha rassegnato le dimissioni dall'incarico.
Scrivo di questa storia non per le enormi implicazioni che una scoperta del genere avrebbe potuto avere sulla nostra vita ma per porre un'attenzione su un'evidenza che, nonostante sia talmente lampante, ci ostiniamo a mascherare a noi stessi.
Lo scienziato è un uomo.
Sembra un'affermazione banale ma non lo è.
Nel nostro immaginario ricoprire certi ruoli, certi incarichi determina, in automatico, un'aura da "semi-dio".
In fondo, consci delle nostre debolezze e imperfezioni, caricare altri uomini di capacità "fuori dalla norma" risponde ad un desiderio di rassicurazione.
Ma, eccedendo, tutto questo determina quello che oserei definire "il problema della delega".
Noi viviamo in una società nella quale la complessità, che imporrebbe ad ognuno di noi sforzi titanici, viene risolta delegando altri, che si sono specializzati in determinati "campi", ad assolvere determinate funzioni.
Lo scienziato, nel senso ampio del termine, è uno di questi.
Ciò determina, nell'uso eccessivo che ne facciamo, due ordini di problemi.
Il primo è la trasformazione della nostra auto-rappresentazione in quelli che Mongardini definisce gli "aventi diritto".
La delega perde il suo senso profondo di fiducia verso l'altro e si trasforma in una pretesa di diritto senza però includere, in questo movimento, il dovere e la responsabilità che dovremmo normalmente sentire gli uni verso gli altri.
Al delegante interessa solo che il risultato combaci con le proprie aspettative demandando al delegato la scelta di quale via o mezzo utilizzare per determinarlo (si pensi al caso del rapporto malato-medico).
Questa modalità, normalmente presente nella maggior parte degli atti della nostra vita, finisce per donare, paradossalmente, maggior potere al delegato.
Si viene a creare una scissione sempre più profonda fra i pochi che "sanno" e i tanti che "non sanno" e la delega, oltre a non includere più al suo interno un senso profondo di fiducia, viene a trasformarsi in un atto obbligato e allo stesso tempo sfuggente.
E' qui si apre il secondo problema forse ancor più tragico del primo.
Usando una terminologia maffesoliana, la Libido Sciendi (brama o sete di conoscenza), da sempre incline a unirsi o, nel peggiore dei casi, a subordinarsi alla Libido Dominandi (brama di potere e controllo - ben rappresentata nelle nostre società dal potere economico-finanziario), finisce per acquisire un'autonomia quasi assoluta e determinare, attraverso la Tecnica, il futuro del genere umano.
Ci troviamo a vivere tutti in quella Società del rischio lucidamente descritta da U. Beck.
Eppure è proprio nel cuore della "fisica delle particelle" che, in un certo senso, questo rischio era già stato preannunciato.
Nel 1927 il fisico tedesco Werner Heisenberg formulò il suo famoso principio di indeterminazione.
"Heisenberg osservò che, in base alla teoria dei quanti, non era possibile misurare con precisione sia la posizione sia la velocità di una particella, ma anzi, più precisa era la misura della prima, meno era quella della seconda". [1]
"Ciò significa che nè l'elettrone nè alcun altro oggetto atomico possiede proprietà intrinseche indipendenti dal suo ambiente. Le proprietà che esso manifesta dipenderanno dalla situazione sperimentale, ossia dall'apparecchiatura con cui è costretto a interagire.(...) Le particelle subatomiche, quindi, non sono "cose" ma interconnessioni fra "cose", e queste, a loro volta, sono interconnessioni fra altre "cose", e così via. (...) La mia decisione cosciente su come osservare, per esempio, un elettrone, determinerà in qualche misura la proprietà dell'elettrone. (...) Nella fisica atomica la netta divisione cartesiana fra spirito e materia, fra osservatore e osservato, non può più essere mantenuta. (...) I modelli che gli scienziati osservano in natura sono intimamente connessi con i modelli della loro mente; con i concetti, pensieri e valori. (...) Gli scienziati sono perciò responsabili delle loro ricerche non solo intellettualmente ma anche moralmente. (...) I risultati della meccanica quantistica e della teoria della relatività hanno dischiuso due vie molto diverse da seguire. Esse possono condurre, per esprimerci in termini estremi, al Buddha o alla Bomba, e sta a ciascuno di noi decidere quale via prendere".[2]
Tutto ciò ci riporta al punto dal quale siamo partiti.
Immaginare lo scienziato come un "semi-dio" che si spoglia di tutte le passioni, i sentimenti, le idee, le emozioni, le convinzioni e entra nel suo laboratorio pronto a rispecchiare fedelmente la realtà è una pura illusione.
La semplice nostra presenza determina, in una interconnessione infinita, il nostro mondo e le risposte che da esso possiamo avere.
Quindi, la prossima volta che i neutrini da Ginevra arriveranno al laboratorio del Gran Sasso (non attraverso un tunnel come credeva l'ex Ministro dell'Istruzione Gelmini!!) ricordiamoci che ad osservarlo, seppur attraverso macchine iper-tecnologiche, ci sarà soltanto e semplicemente un uomo come tutti noi.

[1] L'universo in un guscio di noce - Stephen Hawking - Ed. Oscar Mondadori
[2] Il punto di svolta - Fritjof Capra - Ed. Feltrinelli

giovedì 5 aprile 2012

Le parole e il linguaggio

"La decadenza della parola anticipa sempre quella della civiltà che ne abusa"

                                                                                 Massimo Grammellini [1]


"Noi che sappiamo ingannevole il nostro linguaggio, che non abbiamo mai risparmiato sforzi per raggiungere la patria del vero linguaggio, la dimora degli dèi, la Terra senza il Male, dove mai sarà ospitato un dio che sia solamente un dio, né un uomo che sia solamente un uomo, perchè nulla di ciò che esiste può essere detto secondo l'Uno"

                                                                                 dal Lamento degli Ultimi Uomini [2]


[1] La Stampa del 29/02/2012
[2] La tribù dei Guaranì si definiva "gli Ultimi Uomini" - tratto dal "La terra senza il male" di Umberto
     Galimberti - Ed. Feltrinelli