mercoledì 24 agosto 2011

I Papa-boys

 Si è conclusa da pochi giorni la Giornata Mondiale della Gioventù, XXVI edizione dell'incontro internazionale dei giovani cattolici.
Come ogni anno me ne sono totalmente disinteressato, nonostante l'invasione mediatica, ormai lontano e anche estremamente critico nei confronti dell'istituzione Chiesa.
Nel "La trasfigurazione del politico" di Maffesoli, però, come spesso mi capita nella lettura del sociologo francese, il suo pensiero e le sue visioni hanno spinto il mio naturale disinteresse nei confronti di tale raduno a trasformarsi in un'attenzione riflessiva.

Scrive Maffesoli:
" Senza alcuna provocazione...non è detto che tutti i partecipanti (ai raduni religiosi) siano d'accordo con il magistero e la dottrina...è probabile che molti, senza troppo preoccuparsi di quello che si dice, partecipino per cantare, vibrare, emozionarsi insieme, toccarsi, stabilire dei contatti, entrare in relazione, che molti vogliano vivere un bel momento, un'opportunità, per sentirsi parte di un corpo collettivo....Il giorno successivo non saranno necessariamente gli apostoli che si crede che siano, ma tuttavia resterà, nell'attesa di un nuovo raduno, il ricordo della fratellanza calorosa che li ha uniti per un istante...La festa offerta dall'istituzione, in effetti, serve a tutt'altro; il collettivo approfitta dello spettacolo, "ruba", un'occasione di effervescenza che siamo sempre pronti a cogliere....Al tempo vuoto e omogeneo del concetto storico, si sovrappone l'opportunità dell'evento, l'intensità della durata, la voglia, in qualche modo tragica, di vivere un istante eterno"
( Pag. 242, 243, 245 - La trasfigurazione del politico - Ed. Bevivino)

La visione maffesoliana permette, all'osservatore, di non cadere in un facile moralismo e di slegarsi da pregiudizi estremamente limitanti e inoltre ci suggerisce una nuova possibilità di interpretare l'attuale e i suoi momenti che troppo semplicisticamente e pomposamente vengono classificati in una visione "aut-aut" tipica della modernità. (bene-male; buono-cattivo; giusto-sbagliato)
Dobbiamo spingerci in un territorio nuovo dove la riduzione, la sintesi, il contraddittorio cede il passo al "contraddittoriale"*.
Certamente tanti di quei giovani, riuniti quest'anno a Madrid, erano lì per fede, per partecipate ad una giornata dedicata al loro sentire religioso ma sicuramente vi erano altri non lontani dall'immagine di Maffesoli e probabilmente, tutti insieme, porteranno nelle loro vite un "istante eterno", un'esperienza estetica collettiva che si dissolve in un potente hic et nunc senza attendere ne desiderare un nuovo fiorito futuro o un nuovo paradiso.


*per il significato del termine vedere voce nel "piccolo vocabolario"

sabato 20 agosto 2011

La mano...."invisibile"

In conclusione del precedente post, scrivendo di Adam Smith, mi è ritornato alla mente un pensiero, che naturalmente come mio solito non avevo appuntato, ma che, fortunatamente, il mio cervello aveva riposto in un cassetto pronto a ritornare in vita al minino accenno.
Inoltre, terminato il post, avevo ripreso la lettura de "La trasfigurazione del politico" di Maffesoli e, qualche pagina dopo il punto in cui l'avevo lasciato in precedenza, anche il sociologo francese faceva riferimento ad Adam Smith.
Si vede che è arrivato proprio il tempo di esternare questo mio folle pensiero.
Vediamo se riesciamo a dargli una forma.
Tutto parte dal contrasto fra l'immagine della "mano invisibile" di Smith e la mano creatrice di Giordano Bruno.
Partiamo da Smith. Il padre dell'economia classica usa l'immagine di "una mano invisibile" per spiegare il mercato e il meccanismo della concorrenza.
Gli uomini e i gruppi sono legati essenzialmente da rapporti di scambio nei quali ognuno persegue il massimo soddisfacimento limitando gli sforzi e i costi ed è appunto il meccanismo del mercato e della concorrenza a permettere la prevalenza, nell'insieme di queste micro-azioni di natura squisitamente egoistica, di un interesse collettivo.
Una "mano invisibile" che opera ed equilibria tutto al di là delle intenzioni dei singoli.
Bruno, invece, riprendendo un concetto già presente nella filosofia presocratica, evidenzia che l'uomo si divverenzia dall'animale non solo per l'ingegno ma anche per opera della mano.
L'immagine della mano in Bruno rappresenta la conquista dell'uomo di rendersi artefice della costruzione del proprio mondo. Si evidenzia così un'immagine forte dell'attività umana, del lavoro, della possibilità dell'uomo di costriure, trasformare il reale per adeguarlo a lui stesso.
Quello che mi ha fatto riflettere su questa dicotomia di immagini è soprattutto il fatto che noi viviamo un epoca nella quale la mano creatrice e materiale di Bruno ha lasciato il posto alla mano invisibile di Smith.
Ad insaputa di Smith la sua "invisibilità" ha invaso, paradossalmente, la nostra realtà.
Facciamo un esempio attualissimo. Noi tutti siamo immersi in una crisi economica gravissima e ogni giorno leggiamo sui quotidiani che "le borse hanno bruciato centinaia di miliari di euro".
Eppure, pensandoci bene, dov'è la mano che accende il fuoco, prende i soldi e li brucia?
Non c'è fumo, non c'è calore, non c'è mano.
Mi si obbietterà che questa è solo una metafora ma purtroppo non è proprio così.
Quella mano invisibile che brucia soldi invisibili in roghi invisibili esiste viste le conseguenze nella nostra vita con aziende che chiudono, la disoccupazione che cresce, i servizi statali che saranno via via rimaneggiati.
Altro esempio.
Io faccio un lavoro impiegatizio e se a fine giornata mi si chiede che cosa ho fatto mi rendo conto che tra le mie mani o dinanzi a me non c'è niente.
Durante la giornata ho scritto numeri e parole al computer, ho attivato procedure informatiche, ho stampato fogli di cata (uniche cose materiali) e sicuramente il mio lavoro determinerà conseguenze nella vita delle persone ma comunque tra le mie mani non c'è niente.
Il frutto del mio lavoro è una "conseguenza".
Noi uomini di questa società postmoderna siamo riusciti nell'impossibile, rendere il notro operato immateriale ed invisibile per goderne i frutti o penare per gli errori con il nostro corpo, con la nostra vita.
Ma la vera domanda è: "quando si tratterà di fermare o controllare quest'"invisibilità" ne saremo veramente capaci?"

lunedì 15 agosto 2011

L'esperto e le chiacchiere da bar

Ho terminato di leggere da poco l'articolo, pubblicato sull'Espresso di questa settimana, del prof. De Nicola Alessandro intitolato "un Tea Party per l'Italia".
L'articolo mi ha suscitato immediatamente alcune considerazioni e riflessioni che voglio condividere sul blog con voi.
La prima considerazione riguarda prettamente l'argomento dell'editoriale.
Il prof. analizza, naturalmente in maniera sintetica visto lo spazio a disposizione, la situazione economica attuale e gli interventi che sono costretti a fare i vari governi facendo un accostamento fra la situazione americana, con l'accordo raggiunto in extremis fra Obama e i repubblicani sull'innalzamento del debito pubblico, e quella nostrana mettendo in evidenza l'ivevitabile ma, da lui auspicabile, ridimensionamento dello Stato, delle sue spese e del suo interventismo economico concludendo che per la situazione italiana sarebbe desiderabile la nascita di un Tea Party all'americana.
Scrive il prof. "Non si rende conto (l'opposizione) che oggi il problema è proprio trattenere dalla fuga all'estero e incentivare quella classe dirigente innovativa e produttiva che è il segreto dello sviluppo di qualsiasi paese. La litania sull'evasione ha stancato...ecco perchè se anche in Italia ci fosse un movimento che, come un Tea Party, rappresentasse con vigore i nostrani tartassati, non sarebbe un gran male".
Ci sono alcune cose che mi piacerebbe dibattere con il prof. De Nicola. La prima è semplicemente che io ritengo estremamente semplicistici e  riduttivi i paragoni, che spessissimo si sprecano, fra gli USA e l'Italia. Seppure siamo accomunati dall'apparteneza a quello che è stato definito "l'occidente" nella loro radice culturale l'Italia e l'Europa sono molto differenti dagli USA.
E' strano come si chieda sempre più mercato, sempre più iniziativa privata, liberalizzazioni, in poche parole più "liberismo" economico come se fossimo stati retti in questi ultimi decenni da un altro paradigma. (negli USA non vige un liberismo nettamente più accentuato del nostro?)
So bene che per i liberisti "puri" quello che è stato fatto sinora non ha niente a che fare con il loro pensiero e il loro credo ma la difficoltà consiste proprio in quella "purezza" inestiste nella realtà.
Il nostro mondo quotidiano è fatto da commistioni e contaminazioni, niente di puro appartiene alla sfera umana.
Lungi da me aprire una polemica o esprimere un giudizio di valore sul prof., quello che mi fa riflettere, prescindendo dal tema dell'articolo e dalle mie considerazioni su esso, è la figura dell'"esperto", ormai onnipresente nel nostro quotidiano.
Da decenni sembra che per avere un pensiero e farsi un'opinione ognuno di noi ha necessariamente bisogno dell'aiuto e dell'intervento di un "esperto" sia esso un professore, un medico, un giornalista, un politico, uno scienziato.
Da soli non siamo proprio capaci!!!!(o almeno così si pensa)
Praticamente, visti le innumerevoli discipline nelle quali si è suddiviso e frammentato il sapere, paraddosalmente sembra impossibile che da soli possiamo fare delle scelte senza l'aiuto, l'analisi, il suggerimento dell'"esperto".
La proliferazione e la continua divisione dei saperi poi, in definitiva, permette anche un assenza totale di responsabilità.
L'"esperto" che avrà studiato e approfondito un determinato campo, pur innondanto il nostro quotidiano di suggerimenti e analisi, non sentirà alcuna responsabilità personale per le parole rponunciate o scritte visto l'estrema "complessità" del mondo.
Eppure continuiamo a vivere il nostro quotidiano, a esprimere idee, opinioni, a fare scelte.
Allora, ritengo, che la situazione sia proprio da ribaltare.
Per questo motivo ho dato questo titolo al post.
Questo non deriva da un triviale spirito di rivalsa ma dall'esperienza personale che un'attenzione maggiore ai pensieri e alle parole del cosiddetto "uomo comune" possano aiutare ad una riscoperta di un" buon senso" di elevato valore.
La vera sfida dell'oggi, che investe prepotentemente tutti coloro che con sincerità voglio tentare di comprendere la nostra epoca, è proprio quella di portare le "chiacchiere da bar" nelle università, nelle scuole, nei parlamenti e far dialogare il "sapiente" con "l'uomo comune", di liberare energie in una dialogica che, inevitabilmente, potrebbe permettere ad entrambi di trovare una dimensione più autentica e più vicina alla realtà quotidiana.
Chiudo con un ultima considerazione che mi ha ispirato sempre l'articolo.
Il prof. De Nicola è presidente dell'associazione Adam Smith Society questo mi ha portato alla mente un articolo di qualche tempo fà, sempre sull'Espresso, di Giorgio Ruffolo e il libro di Sennett L'uomo fessibile.
Mi sono ricordato di entrambi perchè i due professori, nei loro scritti, mettono in evidenza un Adam Smith che spesso viene dimenticato, quello della Teoria dei sentimenti morali nel quale aveva sostenuto l'importanza della "simpatia reciproca" e della capacità di identificarsi con i bisogni degli altri.
La stessa divisione del lavoro e la routine indeboliscono le manifestazioni spontanee e l'espansione della simpatia.
La visione di Adam Smith, padre del libero mercato e assurto, a sua insaputa,  a fondatore del moderno capitalismo, è quindi molto più complessa della semplice "mano invisibile" che sempre ci viene ricordata.
Inevitabilmente ritorna quella "complessità", di cui avevo scritto prima, che nessun "esperto" potrà da solo mai districare.

venerdì 12 agosto 2011

Le rivolte

 













Le attuali rivolte in Inghilterra, le rivolte in Nord-Africa, le piazze delle città occidentali e di tutto il mondo che si riempiono periodicamente di gente che protesta per il lavoro che non c'è, per difendere quello che c'è, per le pensioni, per i diritti delle donne, per i diritti dei gay sono diventate una costante nel nostro quotidiano.
A volte sono movimenti organizzati alla vecchia maniera da sindacati, partiti o associazioni ma, sempre più spesso, sono movimenti nati spontaneamente, molti in rete, che accomunano persone di svariate estrazioni.
La loro vita dura un deccennio, un anno, un mese a volte un solo giorno.
Poi ricompaiono sotto nuovi simboli, nuove bandiere a difendere o reclamare nuovi diritti, rispetto di quelli già sanciti, pane, dignità, libertà, democrazia contro un governo, un monarca, una stato o un dittatore.
I volti di queste persone li ritrovi in nuovi movimenti, in nuovi gruppi, in nuove tribù a volte coperti da un passamontagna, da un casco, da bandane a volte sono scoperti e innocenti.
Volti diversi che sono, in fondo, un solo volto quello del disagio, della frustrazione, della crisi.
Prescindendo dalle svariate diagnosi degli "esperti" l'unica cosa certa e che la società occidentale e la sua colonizzazione mondiale sta implodendo.
La Megamacchina tecno-economica è sfuggita da tempo di mano all'uomo e sembra non potersi arrestare.
Stiamo vivendo, a mio parere,  un'epoca di "slittamento paradigmatico", come afferma il prof. D'Andrea.
I grandi valori, le ideologie, le religioni, i saperi inaridiscono e una nuova "animalità sociale", frammentata, si affaccia nel nostro quotidiano.
Probabilmente, seguendo Sorokin e la sua critica alla tardo modernità sensistica, siamo alle soglie o già immersi in un'epoca di passaggio e di profondo mutamento.
Ma, come sempre accade in ogni momento del genere, il "Potere" e l'"Istituito" non possono accettare tale mutamento pena la loro estinzione e quindi, a differenza della nostra "società liquida", si solidificano sempre più e nello stesso tempo si rinchiudono ermeticamente nelle loro stanza, veri sepolcri imbiancati.
Vale, oggi come non mai , la lezione di Simmel, base del sul pensiero, su Vita e Forme.
La vita è sia un fluire incessante sia una produzione di forme in cui questo fluire si manifesta. Le forme non sono solo idee, simboli ma anche istituzioni, prodotti della vita economica, opere d'arte in definitiva tutto ciò che chiamiamo "cultura" sia nel suo aspetto materiale che espressivo.
In ciascuna di queste forme la vita si esprime ma nello stesso tempo si rapprende. La forma, per sua stessa natura, si contrappone al fluire della vita ma, inevitabilmente, ne viene scavalcata. Da ciò emerge ciò che Simmel chiama la "tragedia", termine che descrive in modo atroce ma veritiero il nostro tempo.
Da alcuni anni ho deciso di intraprendere un cammino di scoperta di nuovi autori che possano meglio accompagnarmi nel mio vivere e offrirmi nuove visioni di quello che mi circonda.
Ho scoperto così un'infinità di personaggi, nei più svariati campi, che da decenni avevano, non solo intuito la tragedia, ma anche cercato e proposto nuove vie.
Uno di questi è certamente il sociologo Michel Maffesoli.
A lui dedicherò una pagina di questo blog mentre qui voglio semplicemente limitarmi ad illustrare la sensazione, estremamente personale, che la lettura dei suoi scritti mi ha suscitato.
Farò questo aiutandomi con una metafora di tipo visivo.
I libri di Maffessoli offrono al lettore nuovi "occhiali" che permettono di avere un nuovo sguardo. Nietzsche diveva: "Non esistono fatti, solo interpretazioni". Infatti, le nuove lenti che Maffesoli offre al lettore, non aiutano a creare nuovi colori o nuove forme ma a far rinascere potenzialità, già incluse nel nostro sguardo, che si erano atrofizzate col tempo.
Allo stesso tempo non si tratta solo di offrire "nuovi mezzi" ma anche di aiutare a posizionarci in nuovi luoghi per vedere nuovi orizzonti, da sempre già esistenti.
Come Simmel spiega nel libro Sociologia la società per certi versi non esiste affatto. Tutto dipende sempre da un certo punto di vista e dalla distanza dall'oggetto su cui riflettere.
Da vicino vediamo individui, lo stesso individuo visto al miscroscopio scompare e appaiono cellule, visto da lontato diventa una figura indistinta in una moltitudine. Quindi dipende tutto da una certa prospettiva.
Solitamente per avere una visione quanto più ampia possibile si cerca di aumentare la distanza dall'oggetto dello sguardo e si cerca un punto alto, una verticalità.
Ma il paradosso di Maffesoli sta proprio nell'orizzontalità.
Lui resta nella giungla di asfalto delle nostre città, dei nostri paesi, delle nostre società
Questo significa che dinanzi i suoi occhi, in ogni istante, si materializzano uomini, macchine, palazzi, animali, frigoriferi, piante, televisori accesi, cose che intralcerebbero la possibilità di arrivare con lo sguardo a grandi distanze.
Ma il suo sguardo è "includente", lui non evita anzi si sofferma, lui passa oltre non andando oltre.
Sembra impossibile ma in fondo è solo questione di coraggio e di onestà.
E', semplicemente, accettare e vivere interamente quella "libido sentiendi" di cui parla nei suoi libri.

martedì 9 agosto 2011

Lo specchio

Qualche anno fà scrissi:
"Il male, quando si specchia, vede nel riflesso un'immagine perfetta che innalza a valore assoluto qualsiasi perversione il suo animo abbia concepito.
Il bene, nello stesso specchio, scopre, improvvisa, la sua fragilità ed ogni piccola ruga, segno indelebile di un antico errore, provocato ma non voluto, si trasforma in un solco dove la sua virtù scopre il dolore."

Da poco tempo ho terminato di leggere il libro del filosofo Giorgio Colli "Dopo Nietzsche" e l'autore, nell'aforisma intitolato "L'altro Dioniso", scrive:
"Guardandosi allo specchio, il dio (Dioniso) vede il mondo come propria immagine....Il rapporto tra Dioniso e il mondo è quello tra la vita divina, indicibile, e il suo riflesso. Quest'ultimo non offre la riproduzione di un volto, ma l'infinita molteplicità delle creature e dei corpi celesti, l'immane trascorrere di figure e colori....Il dio non crea il mondo: il mondo è il dio stesso come apparenza".

Quando ho letto questo aforisma ho ripensato subito al mio scritto.
A prima vista non sembrano esserci assonanze tra i due ma l'immagine dello specchio, attribuita dalla tradizione orfica a Dioniso, li unisce fortemente.
Più volte, anche inconsciamente, mi sono ritrovato nei miei pensieri quest'immagine dello specchio.
Se ci riflettiamo noi non possiamo vederci senza rifletterci in esso.
Nel mondo d'oggi noi ci specchiamo per preparare il nostro corpo e il nostro volto a divenire immagine, quella riflessa nello specchio, apparenza che  prende vita e ci rappresenta.
Ma, come il Dioniso di Colli vede, nello specchiarsi, il mondo come propria immagine noi vediamo il nostro viso, che certamente ci appartiene, ma non noi stessi.
Il riflesso è un'immagine che non riuscirà mai a rappresentarci ma solo ad apparire in un fugace attimo.
Lo specchio è allo stesso tempo simbolo di illusione e conoscenza.