sabato 12 novembre 2011

Mezzo pieno....mezzo vuoto


Sembra proprio che non ne possiamo fare a meno.
Ogni qualvolta abbiamo dinanzi, metaforicamente, un bicchiere riempito a metà un impulso ci spinge sempre a vederlo o definirlo mezzo pieno o mezzo vuoto.
Si tratta di un'energia pre-razionale che ci impone sempre una scelta.
Si attiva un istinto che ha bisogno di definire un valore, positivo o negativo, a ciò che vediamo, sentiamo, ad un pensiero, ad un sentimento, ad un oggetto, ad un altro essere umano.
Spero non vi sembri eccessivo ma, in fondo, si tratta, probabilmente, di una delle forme più limpide di istinto di sopravvivenza.
L'uomo è comparso su questo minuscolo pianeta, ai confini del cosmo, circa 7 milioni di anni fà e nel suo mutare, nella sua immane lotta contro la morte per preservare la sua esistenza, ha sviluppato la possibilità di ordinare, gerarchizzare per poter tentare di controllare ciò che per sua natura non può essere controllato (l'incedere della vita).
Ho utilizzato il termine mutare perchè lo preferisco ad evolvere, termine che sicuramente suonerebbe meglio e al quale siamo molto più abituati, ma che, almeno per me, ingloba un senso finalistico che non mi entusiasma.
Naturalmente non sono così presuntuoso da escludere un fine a tutto, ma ritengo che rimarcarlo deformi la percezione che noi abbiamo del mutamento, nel momento in cui  esso si manifesta, e lo sleghi da un tutto al quale è partecipe.
Ritornando al nostro famoso bicchiere c'è anche da ricordare che, a volte, basta spostarsi di pochi chilometri e il mezzo pieno diventa, agli occhi di altri uomini, mezzo vuoto e viceversa.
Inoltre, come ben sappiamo, nelle diverse epoche storiche un valore negativo si è tramutato in positivo a seconda delle culture, dei costumi, delle leggi.
Per finire, ma non di secondaria importanza, sappiamo benissimo, perchè lo proviamo quotidinamente sulla nostra pelle, che un'impressione di mezzo vuoto ci può portare a non vedere l'importanza del mezzo pieno, ricordandoci la nostra endemica fallibilità.
Forse bisognerà aspettare altri mutamenti o ritornare ad uno stato primordiale, splendidamente ipotizzato da Rousseau, per riuscire a vedere il bicchiere contemporaneamente mezzo pieno e mezzo vuoto.
Questo non risolverà tutti i nostri problemi ma credo che riesca a depennare, dalla lunga lista, qualcuno che da sempre inficia il nostro esistere.

mercoledì 9 novembre 2011

Guernica



Non lo credevamo possibile,
ma ci siamo trovati, nostro malgrado,
a vivere nella Guernica di Picasso.

Gli opposti si dibattono in uno spazio angusto,
luce della ragione e ferocia del Minotauro;
uomini che si trascinano
e donne che alzano le braccia al cielo.

Possiamo scegliere l'istinto
o una luce più ampia,
ma la nostra è una responsabilità da Titani.

Noi siamo un quadro vivente
e dipingiamo il tempo sui muri
con colori invisibili.

Noi dipingiamo per i posteri.

                                                                                   Giorgia Zanotto
                                                                                   (mia moglie)

martedì 8 novembre 2011

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Trilussa
LA NINNA NANNA DE LA GUERRA
(1914)

 Ninna nanna, nanna ninna,
er pupetto vò la zinna:
dormi, dormi, cocco bello,
sennò chiamo Farfarello
Farfarello e Gujermone
che se mette a pecorone,
Gujermone e Ceccopeppe
che se regge co le zeppe,
co le zeppe d'un impero
mezzo giallo e mezzo nero.
Ninna nanna, pija sonno
ché se dormi nun vedrai
tante infamie e tanti guai
che succedeno ner monno
fra le spade e li fucili
de li popoli civili
Ninna nanna, tu nun senti
li sospiri e li lamenti
de la gente che se scanna
per un matto che commanna;
che se scanna e che s'ammazza
a vantaggio de la razza
o a vantaggio d'una fede
per un Dio che nun se vede,
ma che serve da riparo
ar Sovrano macellaro.
Chè quer covo d'assassini
che c'insanguina la terra
sa benone che la guerra
è un gran giro de quatrini
che prepara le risorse
pe li ladri de le Borse.
Fa la ninna, cocco bello,
finchè dura sto macello:
fa la ninna, chè domani
rivedremo li sovrani
che se scambieno la stima
boni amichi come prima.
So cuggini e fra parenti
nun se fanno comprimenti:
torneranno più cordiali
li rapporti personali.
E riuniti fra de loro
senza l'ombra d'un rimorso,
ce faranno un ber discorso
su la Pace e sul Lavoro
pe quer popolo cojone
risparmiato dar cannone!

domenica 6 novembre 2011

La distanza

Una delle conclusioni alle quali si arriva, parlando della crisi economica attuale, siano esse discussioni in famiglia, al bar, nei social network, nelle manifestazioni di piazza, è l'inaccettabile risoluzione dei nostri problemi demandata a istituzioni (BCE, FMI, Banca Mondiale, istituzioni di controllo dei mercati, ecc.) che si sono arrogati un Potere senza che questo sia stato delegato da tutti noi.
A mio avviso tutto ciò nasconde un percorso più tortuoso e sfuggente ma che credo sia indispensabile mettere in evidenza.
Partiamo da molto lontano.
Eraclito (535 a.C. - 475 a.C.) scrisse in uno dei suoi enigmatici frammenti "Polemos è padre di tutte le cose, di tutte re".
Polemos si traduce con guerra, conflitto ma, per sfumare le immagini brutali che ci assalgono al solo sentir pronunciare questi termini, preferisco, in questa sede, tradurlo con opposizione.
Inevitabilmente il nostro esistere, per manifestarsi, deve opporsi all'Altro. Solo attraverso questa opposizione noi siamo e tale opposizione può esistere solo attraverso una distanza.
E' in questa distanza, non solo intesa come spaziale ma psicologica, simbolica, che si vengono a determinare le nostre relazioni e dalle quali scaturisce non solo un Noi ma si forma e determina un Io.
E' in una dialogica* fra coinvolgimento e distacco (N. Elias) che si viene a formare quella che possiamo definire società, qui intesa come l'insieme delle interrelazioni fra tutti noi che col tempo si formalizzano e permettono il nascere delle istituzioni.
Quindi non si tratta di un'unica distanza ma di una molteplicità di distanze che si tramutano in un legame sociale complesso.
Simmel notava che noi non siamo legati all'altro da un solo filo e la molteplicità dei fili non è altro che un insieme di distanze relative che produce e riproduce il legame sociale.
"Lo spazio non è un contenitore. Viene continuamente creato dall'uomo nelle sue funzioni e nei suoi significati. (...) L'ideologia tardo-moderna ha voluto risolvere il problema degli spazi così come ha risolto il problema del tempo: oggettivandone il significato e facendone uno strumento di razionalizzazione e di ordine dell'attività collettiva. (...) L'altro perciò è visto come mediatore, come strumento, come funzione dei nostri bisogni. (...) Lo vogliamo inserito perfettamente nella nostra rappresentazione oggettiva di prestazioni e controprestazioni in funzione dei nostri fini. La sua umanità scompare in funzione della sua utilità strumentale. (...) Così si è indebolita quella fiducia orientata direttamente sull'altro, dalla quale si componevano spazi e distanze, per il fatto che la cultura moderna ha orientato questa fiducia, anzichè sugli individui, sui meccanismi astratti delle sue istituzioni" [1] (Mongardini)
E' questo, a mio parere, un punto cruciale del grande disagio dell'epoca tardo-moderna o, come preferisco definirla io, postmoderna.
Le grandi istituzioni finanziarie ed economiche mondiali rappresentano il punto più alto di questa razionalizzazione e oggettivazione alla quale siamo giunti in questi nostri tempi.
Sono divenuti veri e propri non-luoghi (M. Augè).
Ciò determina che, accanto al problema molto sentito della rappresentatività, si aggiunge un problema profondo di distanza e spazialità andata oltre i confini immaginabili e controllabili da noi uomini.
Anche per questo motivo alla globalizzazione imperante si contrappone un nuovo localismo ancora acerbo e in divenire che, sappiamo bene, può essere fucina, in negativo, di nazionalismi e razzismo.
Non lasciamoci, però, trarre in inganno dalla distanza materiale che divide noi tutti dalle istituzioni e sforziamoci di interpretarla, anche e soprattutto, come distanza simbolica, psicologica, sociale.
Quello che accade nelle istituzioni, ormai, ci appare totalmente slegato da ciò che noi viviamo quotidianamente.
L'eccesso di razionalizzazione e ordine perseguito dall'uomo moderno ha finito per creare spazi svuotati di senso, dove vige una funzione spesso demandata ad esperti.
Seguendo la splendida metafora dei fili di Simmel, mi spingo a dire che è come se questi fili avessero perso totalmente elasticità o, se preferite, fossero arrivati ad una tensione estrema che fa perdere all'insieme, che possiamo definire società, una indispensabile plasticità.
Al posto della famosa gabbia di acciaio (M. Weber) siamo imprigionati in una ragnatela di acciaio.

giovedì 3 novembre 2011

Il mio blog

Leggendo i commenti e chiacchierando con amici su questo mio blog è sorta in me l'esigenza di meglio specificarerne il senso e la natura.
Da sempre in me è innata un'attenzione alle cose che mi circondano andando sempre oltre all'evidente, alle parole, al puro gesto, al puro atto.
Istintivamente ho sempre sentito la presenza di un oltre che ho cercato di non estromettere dalla mia vita.
Noi tutti viviamo nell'ovvio (v. post del 14/09/2011), nello scontato, la maggior parte dei nostri gesti, delle nostre parole sono per noi chiare e limpide eppure nascondono un universo di senso e di significato che non sempre è così evidente come crediamo.
Io sono stato sempre, istintivamente, attento a questo universo sfuggente e a tratti oscuro e mai ho lasciato che le cose scivolassero nella mia vita senza tentare di osservarle, annusarle, sentirle.
Da sempre ho pensato che non esistono risposte certe e nette alle mille domande che ci poniamo.
Non mi è mai interessata la risposta ma il cammino che da  una domanda ti porta ad essa per riposare un attimo e ripartire per altri sentieri.
Per tale motivo, da anni, ho intrapreso un percorso di studi stanco e saturo delle semplificazioni e delle moralizzazioni che ci assalgono quotidianamente.
Ho iniziato con autori dal pensiero eterodosso, a tratti radicale, e ho continuato assecondando la mia sete in svariati campi (sociologia, filosofia, antropologia, fisica, psicologia, ecc.) trovando in ognuno di essi pensatori dallo sguardo penetrante che mi hanno aiutato a dare una forma più compiuta a pensieri e sensazioni da sempre esistenti in me.
Da qualche tempo, proprio in concomitanza con la lettura del "Metodo" di Morin (che consiglio a tutti) e della conoscenza della cosiddetta "Sfida della complessità" o "Teoria della complessità", mi sono imbattuto nelle lezioni on-line di sociologia del prof. D'Andrea* che mi hanno permesso di trovare una chiave di lettura al mio modo di guardare al mondo.
Da una parte lo sforzo di osservare i fenomeni in una chiave et-et, quindi includente, proprio perchè le nette antinomie, che spesso guidano la nostra vita, sono, per la maggior parte, nostre costruzioni o convinzioni e dall'altra il concetto di contraddittoriale che, come trovate specificato nel piccolo vocabolario incluso nel blog, sta a significare, nell'uso metaforico, un'opposizione che non può essere superata da sintesi successive ma permane generando energia.
Quindi, in questo blog, non troverete altro che miei pensieri e sensazioni che cerco di modellare e di esprimere tenendo conto di questi due concetti per me chiave.
Questo non significa non prendere posizione, come penso si sia notato in alcuni post, ma nello sfumare opposizioni per permettere di esaltare uno sguardo includente e tollerante e, permettetemi, più umano, nel bene e nel male.
Quindi, laddove la scrittura tradirà il pensiero, vi prego di perdonarmi e ringrazio tutti quelli che, con pazienza, vogliono accompagnarmi in questo cammino.


* Le lezioni del prof. D'Andrea le trovate sul sito http://www.sociologica.it/