mercoledì 30 maggio 2012

Nostos

 
Chi tene 'o mare
s'accorge 'e tutto chello che succede
pò sta luntano
e te fà senti comme coce
chi tene 'o mare 'o ssaje
porta 'na croce
Chi tene 'o mare
cammina ca vocca salata
chi tene 'o mare
'o sape ca è fesso e cuntento
chi tene 'o mare 'o saje
nun tene niente...

Pino Daniele



Dieci anni fà, con il mio amico Davide, facemmo un viaggio in Spagna visitando la regione dell'Andalusia.
Una delle tappe che ci eravamo prefissi era Gibilterra ma, il giorno che da Cadice partimmo in auto per raggiungerla, un terribile temporale ci accompagnò per tutto il viaggio tanto che, stanchi di tutta quell'acqua che cadeva dal cielo, decidemmo di tornare indietro verso l'albergo.
Il cielo verso Cadice si rischiarava chilometro dopo chilometro così, visto che avevamo fame, imboccammo la prima uscita e cercammo un ristorante.
Ci ritrovammo a Tarifa e mentre mangiavamo dei favolosi gamberi, guardando la cartina affissa al muro, mi resi conto che Tarifa era la punta estrema meridionale della Spagna, il punto-limite, della parte europea, dello Stretto di Gibilterra.
A fine pranzo ci recammo in spiaggia e, seduti su un muretto, ci fermammo a guardare il mare.
Quello che avevamo dinanzi non era nè Mediterraneo nè Oceano ma semplicemente Mare.
In quel punto nessun nome che potevamo affibbiargli gli si attaccava addosso. Tutto scivolava via e noi non potevamo fare altro che stare lì a guardarlo.
Quella sensazione di fragilità e di limite ma, allo stesso tempo, di potenza e eterna fertilità ritorna prepotente a vibrare dentro me in questi tempi difficili,  anche se con sfumature diverse, perchè c'è qualcosa di magmatico e di profondo in questa crisi europea.
Un qualcosa che nessuna parola potrà definire e che ha poco a che fare con l'economia, i deficit, i default, i trattati ma che riporta in primo piano una tragica centralità sotterranea (M. Maffesoli) del Mediterraneo e dei suoi popoli.
Un Mediterraneo che è stato abbandonato da secoli al suo destino ritenuto svuotato di quella potenza che aveva impregnato e dato forma alla vecchia Europa.
Per tale motivo l'attuale fallimento greco e l'opposto rigore teutonico rappresentano, in modo paradigmatico, un antico conto da saldare per un Vecchio Continente che ha rimosso i suoi svariati Dei, i suoi multiformi miti, le sue innumerevoli culture a favore di un pensiero unico,meccanico, utilitarista, razionale come una mente che dimentica il suo corpo pensando di poterne fare a meno.
L'antico popolo greco è un "popolo marino più che marinaio. Quale migliore paragone alla speciale intelligenza di questo popolo, del tremolar della marina? Badate: i Greci sono colonizzatori. Sempre stati. Ma colonizzano le spiagge (...) non s'inoltrano. Sanno che a perder di vista il mare, si perde il tremolar della marina: si perde l'intelligenza" (Savinio) [1]
Heidegger, invece, afferma del suo popolo tedesco: "Siamo presi nella morsa. Il nostro popolo tedesco, in quanto collocato nel mezzo, subisce la pressione più forte della morsa; esso è il popolo più ricco di vicini e per conseguenza il più esposto, è insieme il popolo metafisico per eccellenza" .[1]
Lungi da me utilizzare queste affermazioni come possibile sintesi di questi due immensi popoli ma possono rappresentare, con tutti i limiti del caso, due immagini che aprono possibili sentieri di comprensione ben lontani dall'universo economico nel quale questa crisi sembra immersa.
Una possibile differenza consiste, proprio, in "quest'acqua che scivola via (...) , tra un centro de-centrato (Grecia) e un centro (Germania) che vuole organizzare il mondo secondo la sua misura ed è per questo che si sente soffocato. La Germania come centro dell'Europa (...) non conosce l'esperienza del confine che i Greci avevano interiorizzato proprio attraverso la struttura frattale della propria terra , la pervasività del mare". (F. Cassano) [2]
Una vecchia concezione eliodromica del mondo ( "L'Europa è infatti assolutamente la fine della storia del mondo, così come l'Asia ne è il principio"  G.W.F. Hegel, Lezioni sulla filosofia della storia)  prevedeva che le civiltà, seguendo il movimento del sole, sarebbero nate in Oriente per arrestarsi nel massimo splendore in Occidente.
Ma l'Occidente ha sempre avuto, già insito nel suo nome, il tragico destino al quale è chiamato.
L'Occidente è la terra dove il sole tramonta, dove la luce lascia il posto alle tenebre, dove l'uomo avrebbe dovuto riconoscere e convivere con i suoi limiti.
Ma così non è stato.
L'Occidente si è tramutato in un eterno movimento verso la luce per impedire che essa abdichi al buio.
La luce della fede, religiosa o razionalistica, su cui si fonda tutta la tradizione occidentale, ha iniziato un lungo viaggio senza ritorno e il regime notturno è stato surclassato dal regime diurno (G. Durand).
Così il Mediterraneo è stato abbandonato e l'uomo ha incontrato l'Oceano.
Le colonne d'Ercole sono state frantumate e l'uomo ha perso la costa.
Costa che rappresenta il limite, lo spazio di congiunzione fra Misura e Dismisura che non si sciolgono in una sintesi ma permangono in un eterno contraddittoriale.
Costa come una sorta di "naturale" Porta simmeliana che "diventa allora l'immagine del punto-limite dell'uomo sul quale egli costantemente sta o può stare" ricordando allo stesso il suo "essere-limite che non ha limiti, l'essere confinario che non ha confini", il suo essere destinato in un'eterna opposizione fra Finito ed Infinito perchè "la sua limitazione trova il proprio senso e la propria dignità soltanto in ciò che la porta rende sensibili: nella possibilità di muovere in ogni istante da questa delimitazione verso la libertà". [3] (G. Simmel)
Ma una libertà che non riconosce se stessa, che non riconosce, paradossalmente, il suo limite che la rende valore, è una libertà oceanica che "è possibile solo rovesciandosi in radicale dipendenza dalla tecnica, nello sviluppo illimitato della forma tecnica del mondo". [2]
"Il mare Egeo e il Mediterraneo si limitano invece a separare le terre, fissano una distanza che non è mai dismisura dell'oceano; essi sono una discontinuità forte fra le terre, ma non il loro abbandono senza orientamento (...) le distanze marine dell'Egeo e del Mediterraneo aprono la possibilità di un rapporto, di un contatto, anche se esso può essere feroce e terribile. (...) In questo intervallo che collega, in questa distanza che mette in relazione stanno la gelosa custodia della propria autonomia e la facilità del conflitto, ma anche, stretta ad esse come la pelle, la repulsione verso ogni integralismo". [2]
Ed è su questa stessa spiaggia che, "all'ombra dell'ultimo sole", il Pescatore di De Andrè incontra l'Assassino e con lui "versa il vino e spezza il pane" senza domandarsi se fosse giusto o sbagliato ma semplicemente perchè dinanzi a lui vi era un uomo che aveva sete e fame annullando, in un istante eterno, qualsiasi differenza fra la mano che ha ucciso e la mano che offre la vita.
Ed ora, proprio nel momento in cui tutto il mondo sembra inseguire senza esitazione la via occidentale, proprio nella vecchia Europa, dove questa sogno occidentale è stato creato, esso sembra naufragare sulle sponde di un Mediterraneo antico dove ancora risuonano i ditirambi dionisiaci.
Il paradosso del movimento eliodromico sta proprio nella sua linearità che, percorrendo l'intera sfericità del globo terrestre, ritrova se stesso in un tragitto uroborico (G. Durand), ritrovando intatti gli antichi enigmi e ritrovando dinanzi a se un tramonto che, agli occhi di noi uomini di questo inizio secolo, sembra annunciare un definitivo oblio.
Il nostos (ritorno) non è stato figlio di un bisogno, di un desiderio, di un istinto ma è stato un terribile naufragare.
La crisi economica di questo sistema capitalistico, la mega-macchina tecnologica che sembra avanzare senza più un guidatore, lo sgretolarsi delle nostre società probabilmente stanno mascherando una crisi molto più profonda, una crisi di un pensiero che si è reso astratto ed estraneo anche a se stesso, bisognoso di eterna luce, sia essa donata dalla ragione o dalla fede, incapace di inglobare il buio, la parte del diavolo (M. Maffesoli).
Forse, andando oltre tutti gli stereotipi che da sempre l'hanno incatenato, bisogna riscoprire la centralità del Mediterraneo, luogo mitico dove tutto ebbe inizio e dove tutto si tiene in un flebile ma persistente radicamento dinamico.
"Fino a quando continueremo a ritenere che lo scorrere inevitabile verso Occidente sia l'unico moto possibile del giorno e che il Mediterraneo sia solo un mare del passato, avremo puntato gli occhi nella direzione sbagliata e il degrado che ci circonda non cesserà mai di crescere". [2]


[1] Estratti tratti da Il Pensiero meridiano - Franco Cassano - Editori Laterza
[2] Il Pensiero meridiano - Franco Cassano - Editori Laterza
[3] Ponte e Porta  Saggi di Estetica - George Simmel - Ed. ArchetipoLibri


P.s. il testo della canzone in epigrafe fu scritto e cantato da Pino Daniele nel 1979 da non confondere, rigorosamente,  con l'uomo che, anche se ha le stesse sembianze e la stessa voce, da un ventennio sforna Cd anch'egli col nome di Pino Daniele. Credetemi, sono due persone totalmente differenti.







domenica 13 maggio 2012

Il pensiero del ventre

  Imputato,
  il dito più lungo della tua mano è il medio,
  quello della mia è l'indice,
  eppure anche tu hai giudicato.
  Hai assolto e
  hai condannato al di sopra di me,
  ma al di sopra di me,
                                              per quello che hai fatto,
                                              per come lo hai rinnovato,
                                              il potere ti è grato.
                                                                           (Fabrizio De Andrè)

                                             Bisogna avere un caos dentro di sè
                                             per generare una stella danzante.
                                                                            (Friedrich Nietzsche)


Il post di oggi nasce da un profondo senso di sconforto, di frustrazione, di offesa e per tale motivo troverete in esso un vortice di immagini, sensazioni, emozioni a cui, volutamente, non ho dato forma lasciandolo scorrere libero fra queste poche righe.
Per l'ennesima volta l'Anarchia viene associata alla violenza, ad una "pistola fumante", ad una lista di carnefici da punire.
A differenza di alcune storie passate, quando gli anarchici venivano tirati in ballo dallo stesso Potere per nascondere i tanti regolamenti di conti che venivano perpetrati al suo interno a furia di sangue e bombe (strage di Piazza Fontana), questa volta sono gli stessi "sedicenti" anarchici a passare alle vie di fatto.
L'immagine di questi uomini che segretamente, nascondendosi e mascherandosi, mettono bombe e commettono omicidi è vecchia ed è altrettando vera.
Ma accanto a questa violenza, all'Anarchia come filosofia etico-politica, alle tante battaglie contro lo sfruttamento degli oppressi, all'endemica contrapposizione allo Stato e al Potere,  vi è un'Anarchia più profonda, più intima che percorre, come un fiume carsico, l'intera storia dell'uomo.
Un'Anarchia che mi porto dentro e che vibra come un pensiero del ventre (M. Maffesoli).
E' un'accettazione della caducità umana, un'accettazione della coincidentia oppositorum.
L'anarchico è colui che sente e vive l'assenza di un principio e di un potere assoluto non combattendo per imporre tale assenza agli altri perchè la sola imposizione sarebbe essa stessa un principio.
L'Anarchia non può essere un potere che combatte un altro potere e per tale motivo l'anarchico è eternamente intrappolato in un doppio vincolo (G. Bateson) non potendo affermare l'assenza di principio con un principio.
L'Anarchia è un utopia che vive nella quotidianità, che immaginando mondi futuri vive un hic et nunc eterno.
Per quante regole sociali, culturali, civili possiamo darci e per quante strutture e forme possiamo osservare o costruire nelle nostre società l'agire quotidiano è intriso di anarchismo.
Un'Anarchia anodina, che si mostra in piccoli gesti, che non si arma per combattere guerre ma naturalmente si accorda ad una socialità ctonica che inconsciamente viviamo.
Vi è nel nostro quotidiano un continuo trasgredire le regole facendo in modo che le stesse esistano e donando loro un energia di rinnovamento.
L'Anarchia è un'epifania del movimento, l'attimo prima o l'istante dopo in cui, seguendo la Lebenphilosophie simmeliana, la Vita crea o abbandona la Forma.
L'anarchico è colui che ha sempre la valigia pronta per seguire la Vita nella sua eterna danza.
E' colui che usa il suo corpo e non quello degli altri, che combatte scegliendo come sola e possibile vittima giustificabile se stesso.
Che non accetta di scaricare un caricatore di proiettili su un altro essere umano perchè sà che nessun principio può assolvere una violenza.
Gambizzare l'a.d. Adinolfi, perchè rappresenterebbe il potere del "nucleare" che opprime il mondo e i deboli, è solo brutale violenza.
La battaglia sul "nucleare" verrà vinta da uomini che immagineranno e vivranno il quotidiano in un altro modo.
Per tale motivo, caro amico anarchico, invece di sparare, quando cala la sera e come tutti noi hai bisogno di luce, non premere l'interruttore della corrente elettrica ma accendi una candela e Adinolfi diverrà una delle tante ombre che danzeranno nella tua stanza alla luce di questa eterna fiamma.
In fondo l'Anarchia non è altro che un eterno fuoco eracliteo.

giovedì 10 maggio 2012

L'insostenibile leggerezza delle parole



E' da un pò di tempo che, come ho scritto più volte anche in questo blog, cerco di spronare me stesso e gli altri ad un'attenzione maggiore alle parole che siamo soliti scrivere o pronunciare.
Quest'attenzione non risiede nel trovare i termini "perfetti" ma nel comprendere che essi possono condensare, seppur in modo a volte sfumato a volte netto, un universo di significati, di visioni del mondo, alle quali è tempo che noi tutti dedichiamo maggior cautela.
Oggi questa riflessione è mossa da un articolo apparso sul Corriere della sera dei professori Alberto Alesina e Andrea Ichino (fratello del più famoro Pietro) sull'accordo raggiunto tra i sindacati e il Governo sul pubblico impiego.
Non è l'analisi dei due economisti ad avermi attirato ma l'uso di una parola contenuta nell'articolo.
Nel mettere in evidenza l'eliminazione di regole certe per la "misurazione della performance lavorativa" dei singoli dipendenti e il conseguente eccesso di protezione, i due economisti scrivono:
"Proteggere questi lavoratori contro ogni ragionevole controllo della loro produttività danneggia i cittadini, soprattutto quelli meno abbienti (...) Di tutto questo (regole certe sul controllo della produttività) non c'è traccia nella recente intesa sul pubblico impiego tra Governo e sindacati in cui i consumatori non sono stati rappresentati".
Credetemi, ho riletto più volte il passaggio ma c'è scritto proprio consumatori.
Da ciò deriverebbe che quando vado a chiedere un certificato in Comune, quando un bambino va a scuola, se non mi sento bene e mi reco in ospedale non devo dimenticare di essere un consumatore, un cliente e di conseguenza il maestro, il dottore, l'infermiere, il dipendente comunale sono dei produttori di servizi ed entrambi dobbiamo sottostare alle regole economiche del mercato.
Sbagliando, a detta di Alesina e Ichino, io ho sempre pensato che fossimo persone e cittadini.
Ma, a parte l'amara ironia, questa semplice parola ci mostra tutto un universo di pensiero che purtroppo, almeno per il sottoscritto, continua ad inquinare il nostro vivere insieme.
La deriva dell'ideologia economicista ha, da decenni se non secoli, invaso tutti i campi del sociale determinando una volgare riduzione della complessità sociale che sarebbe governabile con le leggi, da sempre inferme ed estremamente inique, del mercato.
Tutto diventa una merce, tutto ha prezzo, tutti noi siamo consumatori e produttori e null'altro.
Logica conseguenza di questa visione, nel campo dei rapporti tra cittadino ed Istituzioni, è che se il servizio è insufficiente o scadente io vanterei una sorta di "diritto" a ridurre o eludere la partecipazione economica alla mia comunità attraverso il pagamento delle tasse.
Un'aberrazione che periodicamente, cavalcata non solo da sempli cittadini ma da politici, imprenditori, esperti di ogni sorta, viene pronunciata candidamente senza vergogna.
Sarò forse un romantico o un ingenuo ma quando "usufruisco" di un "servizio pubblico" non mi aspetto che funzioni perchè ho "pagato" ma semplicemente perchè sarebbe giusto socialmete, eticamente, culturalmente, umanamente.
E' sarò forse ancora più ingenuo nel credere nella potenza delle parole e che il conflitto fra esse, una sorta di moderna confusione delle lingue di biblica memoria, rappresenta in modo incontrovertibile il cambiamento di paradigma del quale siamo artefici-spettatori ma del cui esito finale ancora non si ha una traccia ben precisa.

lunedì 7 maggio 2012

Nuovi estremismi

In questo giorno nel quale, a Genova, una "vecchia" pistola fumante gambizza un amministratore delegato mentre nelle elezioni in Grecia la destra xenofoba raggiunge percentuali preoccupanti, come già avvenuto in Francia, Olanda e altre nazioni europee, in Italia, nelle elezioni amministrative, trionfa un nuovo tipo di estremista.
E' solitamente un trentenne dalla faccia pulita, acculturato, che usa il web, non porta giacca e cravatta ma nemmeno orridi passamontagna, parla di energie rinnovabili, piste ciclabili, democrazia partecipativa, non usa finanziamenti pubblici, si batte per un economia sostenibile, in tasca, al massimo, ha una tessera di una delle tante associazioni che cercano di migliorare i territori, essere vicino ai più bisognosi e fa parte di uno strano non-movimento capitanato da un vecchio comico mezzo folle che da decenni, prima nei teatri e ora sul web, cerca di risvegliare dal torpore i suoi connazionali parlando di strane cose come la democrazia.
A detta di "politici", giornalisti, esperti in vari settori, questo nuovo estremista può essere molto pericoloso.
Se dovesse veramente riuscire nel suo intento questa nostra strana nazione e strana Europa potrebbero veramente giungere ad un'agognata vita civile e democratica.
Bisogna stare molto attenti!!!!
E' siamo solo all'inizio.