mercoledì 5 settembre 2012

La tecnica...ti mette le ali!!!!!!



"Dopo l'azione esercitata con la tecnica sulla natura,
l'uomo si trova a dover subire la reazione del
procedimento tecnico sulla propria esistenza,
che viene inevitabilmente modificata"

Karl Jaspers

"Con il termine tecnica intendiamo sia l'universo dei mezzi (le tecnologie) che nel loro insieme compongono l'apparato tecnico, sia la razionalità che presiede al loro impiego in termini di funzionalità ed efficienza. (...) A differenza dell'animale, che vive nel mondo stabilizzato dell'istinto, l'uomo, per la carenza della sua dotazione istintuale, può vivere solo grazie alla sua azione, che da subito approda a quelle procedure tecniche che ritagliano, nell'enigma del mondo, un mondo per l'uomo. (...) Eppure in questo edificare lavora nascosta una tendenza appena percettibile, ma decisiva. L'uomo, cioè, si adattava alla legge della natura, che continuava a dichiarare immutabile, modificando continuamente l'assetto della natura per adattarla a sé.
(...) Nell'universo delle azioni possibili, la tecnica inaugura quell'agire in conformità ad uno scopo in cui è riconoscibile il tratto tipico della razionalità (...) accade, però, che l'ordine degli stumenti condiziona la scelta dei fini, rigidamente vincolata dalla quantità e qualità dei mezzi a disposizione, con la conseguenza che il perseguimento dei mezzi, senza di cui nessun fine è raggiungibile, diventa il primo fine, per il persegiumento del quale tutti gli altri fini vengono subordinati e , se necessario, sacrificati.
(...) E' questo il modo in cui la tecnica da mezzo si capovolge in fine e, autonomizzandosi dai bisogni, dai desideri e dai motivi che sono alla base dell'azione umana, si pone come il primo bisogno, il primo desiderio e il primo motivo orientante l'azione umana. 
(...) Dire questo significa dire che la tecnica, nella sua espressione moderna, diventa quell'orizzonte ultimo a partire dal quale si dischiudono tutti i campi d'esperienza. Non più l'esperienza che, reiterata, mette capo alla procedura tecnica, ma la tecnica come condizione che decide il modo di fare esperienza.
(...) Per questo diciamo che nella disposizione del mondo e non nella strumentalità va individuata l'essenza della tecnica. E questo significa che la tecnica, nella sua accezione moderna, non è una scienza applicata, ma orizzonte all'interno del quale anche la scienza pura trova la condizione e la destinazione del suo indagare" [1] (U. Galimberti)
Se queste parole possono sembrarvi eccessive, astruse o la solita fantasticheria astratta del filosofo di turno, basta qualche piccolo esempio della nostra vita quotidiana, per comprendere, a mio parere, la portata concreta e lucidamente profonda del pensiero di Galimberti.
Qualche sera fa mia moglie ed io eravamo distesi sul letto e guardavamo la tv quando, improvvisamente, mancò l'energia elettrica per una decina di minuti.
A parte la solita scena tragicomica di camminare a tentoni per casa in cerca di una candela, quando mi ridistesi sul letto, guardandomi intorno, mi resi conto che tutto era come se si fosse fermato.
Vedere spenti tutti i vari marchingegni, che avvolgono il nostro quotidiano, mi provocò, prepotente, la sensazione che il mio stesso "essere" fosse poca cosa, quasi un nulla.
Quasi mi sembrò di non esistere.
In fondo l'energia elettrica è rappresentabile da noi solo come un eterno flusso, un eterno movimento e la sua mancanza sembrò creare una inimmaginabile fissità che è l'antitesi di ciò che sentiamo scorrere, dentro noi e fuori di noi, che siamo soliti chiamare Vita.
Altro esempio, che sicuramente è condivisibile con le tante persone che come me fanno un lavoro impiegatizio, è quando ti rechi in ufficio e, per un guasto qualunque, non funzionano i computer.
Improvviso smarrimento!!! Ti guardi intorno e vedi le facce atterrite dei tuoi colleghi.
Certo, come sempre capita in un ufficio, si potrebbero sistemare le tonnellate di carte che si accumulano quotidianamente, ma tutto ciò è un palliativo.
La verità è che, con i computer che non funzionano, improvvisamente svanisce anche il tuo "lavoro" e sembra non avere senso il tuo essere lì.
Il "lavoro" che tutti noi facciamo, cerchiamo, sogniamo, vogliamo, desideriamo e del quale abbiamo sancito la sua superiorità nell'aricolo 1 della nostra Costituzione, se non funziona un computer, una macchina, improvvisamente svanisce.
Ma questo svanire nasconde, inoltre, subdolamente, un'altra ovvietà che non consideriamo mai.
Il mezzo che non funziona ci  fa rendere conto che, nel capovolgimento di cui scrive Galimberti, il fine ultimo del nosto "lavorare" è far sì che lo stesso mezzo funzioni divenendo noi stessi lo strumento e la macchina il  fine.
Illuminante sintesi, al riguardo, è l'ultima pubblicità della Redbull.
Nell'ultima animazione creata dai pubblicitari si vede tutta l'evoluzione che da un ammasso di cellule, passando per una creatura marina che diventa una creatura terrestre, porta all'uomo (che naturalmente beve la Redbull e....mette le ali!!!).
Nel passaggio, però, fra la scimmia e l'uomo, fateci caso, l'animale raccoglie un ramo da terra e diventa un uomo con la clava.
L'evoluzione dalla scimmia all'uomo avviene nel momento in cui l'animale raccoglie quel ramo e nel suo rapportarsi allo strumento diventa un uomo, che non è rappresentato tutto nudo con la sua bella fogliolina di fico, ma già con una clava (strumento) fra le mani.
L'uomo è già nel suo presentarsi al mondo un essere-tecnico ed è questa la sua essenza.
Quindi più che dire che l'uomo accende il televisore, usa il computer, vola con l'aereo, prende il farmaco, guida l'auto dovremmo pensare e pensarci, mi spingo a dire, come uomo-televisore, uomo-computer, uomo-aereo, uomo-farmaco, uomo-auto.
So bene che tutto questo vi sembrerà eccessivo, abituati come siamo a sentirci soggetti che hanno di contro oggetti, ma la realtà è che questa dualità si fonde in un unico orizzonte che inevitabilmente ci avvolge e ci forma.
Un orizzonte che possiamo definire anche paradigma, Letto di Procuste (v. post del 14/09/2011 ), ovvio, ma che ha un suo limite non oltrepassabile.
Limite che non sappiamo misurare, quantificare ma che persiste e, della cui presenza, sembra che l'uomo moderno abbia dimenticato totalmente la sua esistenza.
Abbiamo dimenticato che Prometeo, che aveva donato la tecnica e il fuoco agli uomini, viene incatenato ad una roccia del Caucaso per l'eternità.
Ma quelle stesse catene non sono solo il tragico supplizio imposto a Prometeo da un Dio malvagio e invidioso (Zeus) ma insite in esse vi è il limite ultimo a quella libertà che la tecnica sembra concedere agli uomini.
La limitazione di strumenti e mezzi nelle epoche antiche, quindi, più che da imputare ad una fase ancora acerba dell'evoluzione umana, come siamo soliti pensarla rinchiusi nel nostro paradigma del Progresso, forse è da imputare ad un riconoscimento del limite rappresentato in miti, tragedie e riti.
Scrive, infatti, Giorgio Colli:
"Agli scienziati moderni non è ancora venuto in mente ciò che era ovvio agli antichi: che bisogna tacere le conoscenze destinate ai pochi, che le formule e le formulazioni astratte pericolose, capaci di sviluppi fatali, nefaste nelle loro applicazioni, devono essere valutate in anticipo e in tutta la loro portata da chi le ha ritrovate, e di conseguenza devono essere gelosamente nascoste, sottratte alla pubblicità. La scienza greca non raggiunse un grande sviluppo tecnologico perchè non volle raggiungerlo" [2]
D'altronde, come ci avvertiva già Aristotele, chi non conosce il suo limite tema il destino.


P.s. se avete trovato questo post pesante e deprimente beveteci sù una bella Redbull che...vi mette le ali!!!

[1] Psiche e techne l'uomo nell'età della tecnica - Umberto Galimberti - Ed. Feltrinelli
[2] Dopo Nietzsche - Giorgio Colli - Ed. Adelphi