venerdì 12 agosto 2011

Le rivolte

 













Le attuali rivolte in Inghilterra, le rivolte in Nord-Africa, le piazze delle città occidentali e di tutto il mondo che si riempiono periodicamente di gente che protesta per il lavoro che non c'è, per difendere quello che c'è, per le pensioni, per i diritti delle donne, per i diritti dei gay sono diventate una costante nel nostro quotidiano.
A volte sono movimenti organizzati alla vecchia maniera da sindacati, partiti o associazioni ma, sempre più spesso, sono movimenti nati spontaneamente, molti in rete, che accomunano persone di svariate estrazioni.
La loro vita dura un deccennio, un anno, un mese a volte un solo giorno.
Poi ricompaiono sotto nuovi simboli, nuove bandiere a difendere o reclamare nuovi diritti, rispetto di quelli già sanciti, pane, dignità, libertà, democrazia contro un governo, un monarca, una stato o un dittatore.
I volti di queste persone li ritrovi in nuovi movimenti, in nuovi gruppi, in nuove tribù a volte coperti da un passamontagna, da un casco, da bandane a volte sono scoperti e innocenti.
Volti diversi che sono, in fondo, un solo volto quello del disagio, della frustrazione, della crisi.
Prescindendo dalle svariate diagnosi degli "esperti" l'unica cosa certa e che la società occidentale e la sua colonizzazione mondiale sta implodendo.
La Megamacchina tecno-economica è sfuggita da tempo di mano all'uomo e sembra non potersi arrestare.
Stiamo vivendo, a mio parere,  un'epoca di "slittamento paradigmatico", come afferma il prof. D'Andrea.
I grandi valori, le ideologie, le religioni, i saperi inaridiscono e una nuova "animalità sociale", frammentata, si affaccia nel nostro quotidiano.
Probabilmente, seguendo Sorokin e la sua critica alla tardo modernità sensistica, siamo alle soglie o già immersi in un'epoca di passaggio e di profondo mutamento.
Ma, come sempre accade in ogni momento del genere, il "Potere" e l'"Istituito" non possono accettare tale mutamento pena la loro estinzione e quindi, a differenza della nostra "società liquida", si solidificano sempre più e nello stesso tempo si rinchiudono ermeticamente nelle loro stanza, veri sepolcri imbiancati.
Vale, oggi come non mai , la lezione di Simmel, base del sul pensiero, su Vita e Forme.
La vita è sia un fluire incessante sia una produzione di forme in cui questo fluire si manifesta. Le forme non sono solo idee, simboli ma anche istituzioni, prodotti della vita economica, opere d'arte in definitiva tutto ciò che chiamiamo "cultura" sia nel suo aspetto materiale che espressivo.
In ciascuna di queste forme la vita si esprime ma nello stesso tempo si rapprende. La forma, per sua stessa natura, si contrappone al fluire della vita ma, inevitabilmente, ne viene scavalcata. Da ciò emerge ciò che Simmel chiama la "tragedia", termine che descrive in modo atroce ma veritiero il nostro tempo.
Da alcuni anni ho deciso di intraprendere un cammino di scoperta di nuovi autori che possano meglio accompagnarmi nel mio vivere e offrirmi nuove visioni di quello che mi circonda.
Ho scoperto così un'infinità di personaggi, nei più svariati campi, che da decenni avevano, non solo intuito la tragedia, ma anche cercato e proposto nuove vie.
Uno di questi è certamente il sociologo Michel Maffesoli.
A lui dedicherò una pagina di questo blog mentre qui voglio semplicemente limitarmi ad illustrare la sensazione, estremamente personale, che la lettura dei suoi scritti mi ha suscitato.
Farò questo aiutandomi con una metafora di tipo visivo.
I libri di Maffessoli offrono al lettore nuovi "occhiali" che permettono di avere un nuovo sguardo. Nietzsche diveva: "Non esistono fatti, solo interpretazioni". Infatti, le nuove lenti che Maffesoli offre al lettore, non aiutano a creare nuovi colori o nuove forme ma a far rinascere potenzialità, già incluse nel nostro sguardo, che si erano atrofizzate col tempo.
Allo stesso tempo non si tratta solo di offrire "nuovi mezzi" ma anche di aiutare a posizionarci in nuovi luoghi per vedere nuovi orizzonti, da sempre già esistenti.
Come Simmel spiega nel libro Sociologia la società per certi versi non esiste affatto. Tutto dipende sempre da un certo punto di vista e dalla distanza dall'oggetto su cui riflettere.
Da vicino vediamo individui, lo stesso individuo visto al miscroscopio scompare e appaiono cellule, visto da lontato diventa una figura indistinta in una moltitudine. Quindi dipende tutto da una certa prospettiva.
Solitamente per avere una visione quanto più ampia possibile si cerca di aumentare la distanza dall'oggetto dello sguardo e si cerca un punto alto, una verticalità.
Ma il paradosso di Maffesoli sta proprio nell'orizzontalità.
Lui resta nella giungla di asfalto delle nostre città, dei nostri paesi, delle nostre società
Questo significa che dinanzi i suoi occhi, in ogni istante, si materializzano uomini, macchine, palazzi, animali, frigoriferi, piante, televisori accesi, cose che intralcerebbero la possibilità di arrivare con lo sguardo a grandi distanze.
Ma il suo sguardo è "includente", lui non evita anzi si sofferma, lui passa oltre non andando oltre.
Sembra impossibile ma in fondo è solo questione di coraggio e di onestà.
E', semplicemente, accettare e vivere interamente quella "libido sentiendi" di cui parla nei suoi libri.

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